Aspetti psicologici del dolore
Nell’esperienza dolorosa di una qualsiasi patologia, soprattutto se intensa, cronica o maligna, gli aspetti psicologici sono particolarmente importanti perché questi interagiscono nel determinare le risposte emotive, adattative e comportamentali del paziente rispetto alla propria condizione di sofferenza. Quindi, un’adeguata valutazione dello stato doloroso riferito dal paziente non può limitarsi ad un’indagine clinica, ma deve tenere conto degli effetti psicologici che il dolore comporta alla persona. Il dolore rende spesso il soggetto inabile sia da un punto di vista fisico che emotivo.
I fattori psicologici sono determinanti nella reazione soggettiva ai sintomi e agli impedimenti imposti dalla malattia o dalle terapie, nell’impatto della malattia sulle relazioni con gli altri, nelle eventuali ripercussioni sui progetti di vita, nonché nei vissuti di stanchezza, paura, insonnia, ansia, depressione, che provocano la percezione del dolore.
Ne è prova il fatto che nel DSM – Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – la categoria Pain (dolore) Disorders (disturbi) si basa sul presupposto che il dolore sia definito come esperienza mentale. La valutazione psicologica di simili disturbi non serve a distinguere un dolore organico da uno psicogeno, ma ad analizzare come i fattori psicologici interferiscono con l’espressione del dolore, così come l’effetto del dolore interfersice sul malessere psichico del paziente.
Infatti, il dolore è una percezione estremamente soggettiva in quanto la soglia di sopportazione è diversa in ognuno di noi, perché determinata non solo dalle modificazioni conseguenti al danno organico, ma anche dall’interpretazione personale di quanto il danno è lesivo.
Ippocrate, con la sua massima “la medicina senza lo psichico è un rudimento” aveva già evidenziato la necessità di conoscere i vissuti ed il contesto sociale e ambientale in cui il paziente è immerso, per fornirgli un trattamento adeguato alla gestione del dolore.
Le patologie che comportano dolore cronico sono particolarmente invalidanti in quanto il dolore influenza ogni aspetto della vita del paziente: la percezione del proprio corpo diviene un’esperienza negativa, l’autonomia è limitata negli spostamenti o talvolta anche nella cura di sé, le abitudini lavorative e sociali sono spesso stravolte ed è piuttosto comune la tendenza ad isolarsi dagli altri.
Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emotiva associata alla presenza di un danno tessutale in atto, potenzialmente in atto o descritto in tali termini dal paziente.
John Joseph Bonica
Il dolore cronico, che tipicamente provoca un abbassamento del tono dell’umore nonché uno stato di particolare apprensione, è fortemente correlato alla presenza di disturbi dell’umore, evidenziati per lo più dalla presenza di tristezza pervasiva, difficoltà di concentrazione, sconforto, ma anche a disturbi d’ansia. In questo caso l’ansia, che solitamente viene associata agli attacchi di panico, è priva di una causa apparente, o comunque non viene riconosciuta dal paziente come ansia, ma tradotta in termini somatici e lamentata come tensione muscolare, palpitazioni, disturbi respiratori e digestivi etc.
Perciò nell’esperienza del dolore cronico è necessario creare uno spazio dove il paziente possa elaborare la propria sofferenza psichica, aiutandolo a riconoscere determinate reazioni disadattive alla malattia organica.
Efficacia e sostegno della psicoterapia
Poiché il dolore è un’esperienza personale, il lavoro dello psicologo consiste:
- nella valutazione della rappresentazione che il paziente ha delle caratteristiche o degli effetti del proprio dolore e dell’influenza del dolore sulla vita del paziente: sull’attività lavorativa, sulla vita relazionale, sull’umore, sulle attività sociali, sulla cura di sé, così come sul sonno;
- nella valutazione del ruolo che la componente emotiva gioca nel rinforzare il dolore dove è effettivamente presente una nocicezione che non si risolve e che, di per sé, giustifica solo il dolore persistente, ma non l’intensificazione presentata dal paziente per motivi psicologici o sociali;
- nella presa in carico della sofferenza psicologica del paziente, determinata dalla patologia e dal significato che assume il dolore nella sua vita quotidiana. Anche le aspettative del paziente sono importanti, in quanto spesso sono irrealistiche e comportano un’amplificazione del problema, nonché il mancato riconoscimento di eventuali miglioramenti o degli aspetti positivi potenzialmente ravvisabili nella condizione generale;
- nella considerazione e modificazione del comportamento che deriva dall’esperienza dolorosa. Le caratteristiche della personalità del paziente, quali un atteggiamento aggressivo e di diffidenza, influenzano la percezione del dolore, e si possono ripercuotere sull’efficacia stessa del trattamento. Pertanto è opportuno agire anche sul cambiamento di approccio del paziente al problema.
La consulenza psicologica fornisce al paziente l’opportunità di raccontare la propria storia e parlare del suo dolore e, spesso per la prima volta, di dare voce ai propri vissuti di disagio e sofferenza psicologica (ansia, rabbia, colpa, umiliazione, desolazione). Lo psicoterapeuta in questo caso, oltre a considerare la componente somatica (sensitiva) del dolore, valuta anche l’umore del paziente, i suoi atteggiamenti, il modo in cui fa fronte al suo dolore, le sue risorse.
Talvolta può anche capitare persino che i disagi e le difficoltà personali pregresse vengano imputate alla stessa malattia.
In simili circostanze diventa indispensabile affiancare alla terapia antalgica specialistica un trattamento opportunamente mirato alla sopportazione del disagio emotivo, oltre che del dolore fisico. E’ ormai comunemente noto che un atteggiamento ottimistico e fiducioso da parte del paziente porta ad un esito migliore nella cura di una malattia. Per questo il supporto di una psicoterapia aumenta notevolmente le probabilità che l’impatto psicofisico della malattia o di qualsiasi altro disturbo algico sul paziente sia minore e diventi sostenibile.
Tecniche di desensibilizzazione del dolore: meditazione e fantasie guidate
Quando la sensazione dolorosa perde la sua finalità di semplice anticipazione e segnale di malattia e ne diventa invece la sua connotazione più importante, il dolore diventa il problema principale del paziente e ne condiziona a tal punto l’esistenza, da relegare quasi in secondo piano la malattia orginaria.
Dunque, diventa indispensabile intervenire sul problema anche con l’ausilio di un trattamento integrativo che non ha la pretesa di indurre la guarigione, bensì di alleviare il dolore con delle tecniche di desensibilizzazione e renderlo più tollerabile, anestetizzandolo temporaneamente con la guida del professionista.
L’efficacia è proporzionale alla volontà del paziente, ovvero dipende in parte anche dalla convinzione rispetto al buon esito del trattamento. Infatti, gli studi dei coniugi Hilgard (1977-78) hanno dimostrato una correlazione diretta tra grado di ipnotizzabilità e livello di analgesia raggiungibile.
Le tecniche di desensibilizzazione e anestetizzazione del dolore sono il più delle volte indotte attraverso l’uso della meditazione o delle fantasie guidate tramite metodi di autosuggestione simili all’ipnosi.
Entrambe permettono al paziente di orientare consapevolmente l’attenzione su sensazioni piacevoli e spostarla così dalla parte dolente del corpo alle sensazioni propriocettive di quelle parti del corpo che sono rilassate e non procurano alcun fastidio. Inoltre il paziente è guidato a visualizzare immagini gradevoli che lo rassicurano, mantenendo la concentrazione sul respiro.
Si tratta in realtà di un procedimento molto semplice: ogni volta che siamo distratti o assorti da qualcosa senza averne coscienza, non ci accorgiamo di quello che succede mentre accade, perché operiamo uno spostamento di attenzione, pur rimanendo del tutto consapevoli. Esperienze ipnotiche si verificano frequentemente nella vita quotidiana in modo assolutamente spontaneo: provate ad immaginare a un calciatore che subisce un infortunio durante una partita e che continua a giocare accorgendosi del dolore solo dopo che la partita è finita, perché fino ad allora la sua attenzione era catturata interamente da quel momento. Tali tecniche servono solo a riprodurre questo fenomeno naturale.
L’ipnosi, utilizzata come tecnica psicoterapeutica, crea essenzialmente uno stato di recettività nel paziente, tale da renderlo disponibile a farsi accompagnare dalla voce del terapeuta, che lo guida in uno stato di piacevole allentamento delle tensioni corporee che lo disturbano e di distacco mentale dai pensieri che lo preoccupano, attraverso l’induzione di immagini mentali, analogie e ristrutturazioni cognitive.
E voglio che tu scelga un momento nel passato in cui eri una bambina piccola piccola. E la mia voce ti accompagnerà. E la mia voce si muterà in quelle dei tuoi genitori, dei tuoi vicini, dei tuoi amici, dei tuoi compagni di scuola e di giochi, dei tuoi maestri.
Milton H. Erickson
Nella pratica di alleviamento del dolore sono molto utili anche la tecnica di defocalizzazione dell’attenzione (com’è noto l’attenzione focalizzata sull’agente lesivo e sull’area corporea interessata potenzia la percezione dolorosa, mentre la semplice distrazione ha effetto nel ridurla), che comporta un’attenuazione della risposta fisica al dolore; e il decondizionamento o desensibilizzazione (immaginare di vivere in maniera sempre crescente la situazione che provoca ansia, portandola al massimo livello di intensità ed evitando così qualsiasi possibilità di fuga, ne consente l’estinzione), da cui deriva la riduzione dell’ansia associata al dolore.
D’altra parte l’ipnosi è utilizzata come tecnica analgesica sin dall’antichità e, negli ultimi anni viene sempre più utilizzata con buoni risultati anche in campo oncologico sia per quanto riguarda l’analgesia, sia per quanto riguarda gli stati di ansia e paura correlati alla patologia.
Che cos’è l’ipnoterapia
L’ipnoterapia è una tecnica che si basa sull’induzione di uno stato di rilassamento fisico e mentale nel paziente, che in tal modo diventa più ricettivo verso gli stimoli provenienti dal subconscio. Tale stato può essere ottenuto per esempio invitando la persona a concentrare i propri pensieri su un oggetto specifico oppure sul proprio respiro. Attraverso l’ipnosi si creano i presupposti per poter accedere con maggiore facilità alle risorse interne della persona, e per permetterle di vedere i problemi in maniera diversa e più costruttiva.
Il terapeuta, dunque, non ordina dall’esterno al soggetto ciò che deve fare o credere, bensì lo aiuta nella ricerca delle risorse che possono servirgli per stare meglio. Lo stato ipnotico non è uno stato di sonno profondo o di incoscienza completa: si tratta piuttosto di una sorta di dormiveglia in cui le difese razionali agiscono con meno efficacia.
Nei metodi moderni si invita il paziente ad accomodarsi ad occhi chiusi su un lettino o su di una sedia ergonomica, per indurlo al rilassamento.
Va inoltre specificato che non si tratta mai di una perdita di coscienza e che attraverso l’ipnosi non è possibile manipolare le persone in misura maggiore di quanto possa avvenire guardando uno spot commerciale o ascoltando un bravo oratore.
L’ipnoterapia, nel senso più ampio e non strumentale del termine, consente di relazionarsi con le istanze più intime di ogni persona, superando sovrastrutture e blocchi, per facilitare il recupero di un equilibrio soddisfacente, parallelamente al sollievo dalla sofferenza.
Un vantaggio della ipnoterapia è quello di fornire risultati immediatamente visibili e percepibili, infatti essi sono già evidenti dopo le prime sedute.
Conclusioni
Attualmente numerosi studi attestano che l’ipnosi svolge un ruolo fondamentale nel controllo del dolore. L’ipnoterapia è utilizzata a livello mondiale per il trattamento del dolore operatorio e postoperatorio, per agevolare procedure diagnostiche o terapeutiche dolorose, in particolare nei bambini; per il dolore iatrogeno; per il dolore da parto; il dolore odontoiatrico; il dolore da ustioni; per il dolore cronico come nei casi di lombalgia, fibromialgia, sindrome dell’arto fantasma, cefalee croniche primarie; per il dolore oncologico e i disturbi ad esso associati, dove il suo ricorso precoce sembra utile anche nel controllo dell’evoluzione della malattia.
Dunque è necessario rilevare quella componente emotiva di sofferenza psicologica correlata al dolore cronico, che può essere una conseguenza alle gravi limitazioni imposte dalla malattia, ma che può anche aumentare la percezione soggettiva del dolore.
In ogni caso è bene fare riferimento a professionisti esperti nelle tecniche ipnotiche, le quali richiedono sensibilità e spirito d’osservazione da parte del terapeuta, e devono sempre essere indirette, dolci e materne, per non aggredire frontalmente il disturbo, ma per suggerire al paziente soluzioni terapeutiche attraverso l’uso delle sue risorse interne.