Esiste la felicità?
La domanda sulla natura e sull’esistenza della felicità appartiene da sempre alla storia dell’umanità e la risposta è strettamente legata alla percezione del tempo vissuto.
Esiste veramente la felicità o la felicità in sé non esiste a causa di una modalità inadeguata con cui viviamo il tempo a disposizione? Di certo le preoccupazioni con le quali impegnamo il tempo non ci sono di aiuto nella sua conquista e concorrono piuttosto ad offuscarla e a renderci infelici. Infatti “l’uomo non persegue ciò che è piacevole, ma l’assenza di dolore1”, perché non si concede di stare nel momento presente e di goderne nella misura in cui le circostanze glielo permettono. Capire questo può contribuire al giovamento del benessere che la vita concede momento per momento.
Agli uomini accade di essere felici. Gli uomini sanno cos’è la felicità perché ne possiedono il concetto e non piuttosto perché ne sperimentano la condizione; il più delle volte ignorano quel che sentono quando sono felici. Infatti l’ansia con la quale si affronta la vita di tutti i giorni, impedisce di stare con l’attenzione al momento presente proiettando la felicità nel futuro, anziché percepirla nel qui ed ora.
Peraltro, lo stato di eccitamento generato dall’ansia conduce l’uomo a dedicarsi con frenesia ed eccessiva operosità alle azioni che compie quotidianamente, senza concedersi il tempo di apprezzare quello che fa mentre lo sta facendo.
Questo atteggiamento con il quale viviamo è un ostacolo che inconsapevolmente frapponiamo al raggiungimento della nostra felicità, tuttavia basta fare esperienza di quanto ci accade qui ed ora e addestrarsi a sentire quello che succede, per scoprire che la felicità esiste.
Per essere felici bisogna sentire pienamente la soddisfazione della propria condizione di benessere, che è possibile sperimentare solo se si è immersi del tutto nell’attimo presente.
Tuttavia, la felicità non si percepisce quasi mai in maniera del tutto compiuta, perché la si vive con il timore della perdita, tanto è considerata rara e transitoria. Il problema è che la maggior parte degli esseri umani non sa di cosa ha bisogno per essere felice e come raggiungere il proprio ideale di felicità, né come fare a mantenere nel tempo questo stato di benessere, una volta raggiunto.
La terapia della Gestalt come terapia del qui ed ora
La terapia della Gestalt, in quanto approccio esperienziale, insegna ad essere felici permettendo al paziente di stare in contatto con le proprie emozioni e di sperimentare la soddisfazione dei propri bisogni nel presente.
In quest’ottica diventa indispensabile vivere nel qui ed ora, invece siamo così occupati a vivere nel passato e ad evitare il presente, da perdere di vista la realtà con la quale restiamo in contatto solo in parte.
La nostra attenzione al momento che viviamo è continuamente distratta da qualcosa di diverso da quello che stiamo facendo, perché il problema principale dell’uomo è quello di trovare il modo di occupare il tempo e programmare le ore della sua giornata. E la maggior parte delle cose che facciamo sono “surrogati di una vita vera2”. In questo modo non ci permettiamo di essere felici perché, essendo concentrati sul futuro prossimo, diventiamo preda dell’ansia di riuscire a riempire il tempo che ci è dato. Infatti, anche quando siamo soddisfatti di quello che stiamo facendo, immediatamente dopo l’ansia di realizzare un altro progetto ne dissolve l’appagamento.
Sebbene la felicità possa essere perduta, ciò non comporta che ad essa subentri necessariamente una condizione di sofferenza. Inoltre, dato che un’insaziabile fame di novità non permette di nutrirsi di quel che c’è, perdiamo l’opportunità di essere felici perché focalizzati su ciò che ci manca.
In tal senso, una via appropriata per il raggiungimento della felicità è quella di ‘evitare di essere infelici’, che non significa rinunciare al piacere, quanto piuttosto sviluppare un’abilità di governo di sé tale da far accettare l’appagamento momentaneo dei bisogni.
Vivere qui ed ora è il modo migliore per essere felici
“Per essere felici, la vita deve trascorrere per lo più tranquilla, poiché la vera gioia può vivere soltanto in un’atmosfera di tranquillità3”. Secondo Bertrand Russell (1872-1970) la felicità va conquistata pervenendo alla capacità di sopportare lo scorrere del tempo, senza necessariamente riempirlo.
Quello che spaventa l’uomo è di ritrovarsi di fronte al nulla; l’esperienza del non far nulla consiste nella capacità di spostare l’attenzione sul presente e nella capacità di occuparsi delle cose a tempo debito.
Eppure, persino l’esperienza del nulla non è mai nulla, se non “siamo ossessionati dal bisogno che sia qualcosa”4, e se teniamo conto che ogni esperienza comporta qualcosa.
In questi concetti risiede il senso della terapia della Gestalt come rimedio alle cause di infelicità, intesa come “trasformazione del vuoto sterile in vuoto fertile”5. Con questa espressione Frtiz Perls (1893-1970) intendeva dire che la consapevolezza di ciò che sentiamo nel qui ed ora è camuffata di continuo con l’azione, grazie alla quale evitiamo di vivere l’esperienza. Se ci permettiamo di smettere di agire meccanicamente e ci concediamo la ‘noia’, concediamo al tempo di orientare l’attenzione su qualcosa di nuovo e far affiorare quello che c’è. Una delle condizioni essenziali della noia consiste nell’ immaginare, e per immaginare occorre che le facoltà di un individuo non siano completamente occupate, se non che dalle opportunità esistenti qui ed ora.
La difficoltà di vivere il tempo presente nasce nel momento in cui ci si accorge che stare di fronte al nulla fa paura, in quanto ci fa prendere contatto con ciò che siamo e sentiamo veramente.
Lavorare sul passato per modificare il presente
La terapia della Gestalt cerca di controbilanciare l’orientamento verso il futuro con un buon ancoraggio nel presente, affinché nessun modello del passato influenzi, condizioni o possa impedire la nostra consapevolezza nel qui ed ora. Infatti, interrogarsi sul proprio passato nel tentativo di analizzarlo non consente di cambiarlo, perché il passato è immodificabile, mentre il presente è l’unico tempo su cui possiamo agire per fare qualcosa di diverso. Finchè si resta fedeli al passato la nostra visuale è limitata, perché non riusciamo a considerare il potenziale che offre il tempo presente.
Vivere nel qui ed ora consente di essere presenti a sé stessi e diventare responsabili della nostra felicità
La terapia della Gestalt invita a fare esperienza diretta dei ricordi, piuttosto che fare delle considerazioni intorno ad essi, perché le interpretazioni e le spiegazioni causali sugli eventi passati deviano dal contatto con il presente. Invece, quando il paziente ricorda, stando in contatto con quello che prova nel presente, diventa consapevole che la sua reazione a tali ricordi non può essere la stessa che ha sperimentato nel passato.
Vivere qui e ora le sensazioni evocate dagli eventi passati gli consente di riconoscerli per quello che sono e di spogliarli dalla connotazione emotiva di cui li ha investiti. In questo modo, se il paziente accetta che non può modificare il passato per come è stato vissuto, può trovare un modo diverso e più creativo di vivere il presente. Per esempio, se nel passato ha assunto il ruolo di vittima, rivivendo nel presente la sofferenza provata quando ha sopportato l’ingiustizia con accondiscendenza, può immaginare di adottare un’altra modalità di comportamento, anziché continuare a subire.
Così impara che se non può reagire diversamente nel passato, può farlo nel presente e ogni volta che si presenterà un’occasione simile, saprà come farsi rispettare.
Il paziente può provare a mettere in atto dei comportamenti diversi già in seduta, attraverso la simulazione di eventi specifici, che gli permettono di sperimentarsi come attore di nuovi ruoli. Una volta agito nel qui e ora, il nuovo comportamento può essere memorizzato in virtù di come il paziente si è sentito nell’attuarlo e, avendone sperimentato i vantaggi, può ripeterlo anche nel suo contesto di vita. In questo senso la seduta si presta a fare da palcoscenico dove fare le prove per la rappresentazione finale.
Finché resta nel presente, il paziente resta in possesso dei sensi e si rende conto di quello che può fare per stare bene e dunque per essere felice.