- Novembre 17, 2018
- Valentina Arci
- Nessun commento
Indice dei contenuti
ToggleCosa vuol dire comunicare?
“La comunicazione è una conditio sine qua non della vita umana e dell’ordinamento sociale” (Paul Watzlawick 1921-2007), e pertanto è un processo di interazione che non può essere considerato come un fenomeno unidirezionale da chi parla a chi ascolta.
Sebbene siamo costantemente in relazione con gli altri, spesso non riusciamo a comunicare, ovvero nè a farci capire né a capire l’altro.
Il primo motivo per cui succede questo è che le persone possono dire benissimo qualcosa, ma voler dire qualcos’altro.
In secondo luogo, il bisogno primario nella comunicazione è di essere capiti e dunque ciascun interlocutore nutre le stesse aspettative. Tuttavia, per essere compresi bisogna comprendere l’altro e dunque, paradossalmente, se non si comprende l’altro non è possibile farci comprendere. Naturalmente è lecito chiedere di essere capiti, ma non lo è altrettanto aspettarsi che l’altro sicuramente ci capisca.
L’errore principale che impedisce una comunicazione efficace è di dare per scontato che quello che diciamo sortisca l’effetto desiderato.
Il feedback, ovvero la reazione da parte di chi ascolta, è uno strumento indispensabile a verificare se stiamo comunicando in modo adeguato, infatti se il messaggio non viene compreso da chi lo riceve, significa che non è stato mandato correttamente. Se la comunicazione non ha sortito l’effetto desiderato, occorre assumersi la responsabilità di aver comunicato in modo inefficace e modificare il proprio comportamento.
Chi comunica deve essere consapevole che le sue parole non assumeranno per il destinatario un significato prestabilito, perciò deve impegnarsi ad esprimere le proprie idee in modo che abbiano la stessa connotazione per entrambi, per esempio esponendo lo stesso concetto con parole diverse, oppure fornendo dimostrazioni per accertarsi che siano state comprese.
Come sostiene Paul Watzlawick, “finché non si riesca a scoperchiare la scatola cranica per osservare la mente dall’esterno”, non avremo nessuna certezza riguardo ai pensieri del nostro interlocutore, pertanto dovremmo almeno avvicinarci alla possibilità di essere compresi.
Per fare questo bisogna essere pronti ad abbandonare in qualsiasi momento la propria convinzione di aver comunicato chiaramente quello che si intendeva dire ed essere disposti a cambiare metodo ogni volta che la situazione lo richieda. Di solito si pensa che se un determinato comportamento non funziona è necessario ripeterlo finché non conduce agli esiti auspicati. Invece, perché l’altro ci capisca occorre tentare di servirsi di una modalità comunicativa diversa a seconda della situazione.
Comunicare significa farsi capire
Dunque dobbiamo essere attenti alle espressioni del volto o alle posizioni assunte dal nostro interlucutore, perché sono un utile rimando rispetto a come sono state recepite le informazioni date e a come modificare con flessibilità non solo le parole, ma anche il tono di voce, la mimica e la postura per comunicare quello che vogliamo. Bisogna essere sempre pronti a mutare il proprio copione in base ai feedback suggeriti dal contesto nel quale si sta svolgendo l’atto comunicativo. Spesso, quando si è in dubbio riguardo al fatto di essere compresi o meno, è utile interpellare esplicitamente chi ascolta su quanto sta comprendendo, anche se ci può sembrare scontato.
Le regole di comportamento comunicazionale
Una delle prime regole da tenere presenti per un’eloquenza efficace con il nostro interlocutore è che UN FENOMENO RESTA INSPIEGABILE FINCHE’ IL CAMPO DI OSSERVAZIONE NON E’ ABBASTANZA AMPIO DA INCLUDERE IL CONTESTO IN CUI IL FENOMENO SI VERIFICA (Paul Watzlawick).
Quando siamo in relazione con qualcuno abbiamo la tendenza ad interpretare soggettivamente ogni elemento della conversazione secondo il nostro punto di vista, spesso addirittura anticipando quello dell’altro e immaginando che ci voglia dire sicuramente quello che ci aspettiamo. Invece l’analisi di quello che accade in un dialogo deve essere estesa fino ad includere gli effetti che un determinato comportamento ha su di noi e il contesto in cui si verifica. Riportando lo stesso esempio che usa Watzalwick per spiegare questo concetto, quando Konrad Lorenz strisciava per il prato del suo giardino guardandosi indietro ed esclamando ininterrottamente il verso degli anatroccoli, non sarebbe sembrato folle se chi lo guardava avesse saputo che stava facendo degli esperimenti sull’imprinting.
Egli infatti si era sostituito alla madre degli anatroccoli, dei quali stava studiando il comportamento, quando all’improvviso si alzò e vide una fila di volti allibiti, affacciata sopra la siepe, che lo guardava stupefatta. L’erba era tanto alta da nascondere gli anatroccoli e i passanti potevano vedere solamente l’uomo che strisciava apparentemente in modo del tutto inspiegabile.
Lo studio del comportamento umano richiede un’attenta analisi delle manifestazioni osservabili nella relazione, e il veicolo di tali manifestazioni è la comunicazione.
I tre aspetti della comunicazione efficace
Dunque, la comunicazione per essere efficace richiede di prestare particolare attenzione a tre campi o aspetti diversi, che sono:
quello della sintassi, che si interessa ai problemi di codificazione linguistica e ai canali divulgativi, ossia ai problemi relativi alla trasmissione dell’informazione;
quello della semantica, il cui interesse è rivolto principalmente al significato delle informazioni date e ricevute e sull’accordo che trasmettitore e ricevitore hanno precedentemente stabilito sul significato da dare ai loro messaggi;
e della pragmatica, che riguarda gli effetti della comunicazione sul comportamento, di cui fanno parte non solo le parole, ma anche i fatti non verbali e il linguaggio del corpo per cui, una volta noto il contenuto, ci si può comportare di conseguenza.
L’effetto retroazione
Nell’ambito della comunicazione, intesa come ‘scambio di informazione’, il fenomeno della retroazione, studiato da Watzlawick e dagli esponenti della scuola di Palo Alto (1967), è di fondamentale importanza, poiché il comportamento di ogni persona influenza ed è influenzato da quello di ogni altra, per cui i dati di ingresso si possono amplificare fino a produrre un cambiamento, oppure neutralizzare per mantenere la stabilità. Ciò vuol dire che, come spesso si verifica in una coppia, quando lo scambio di informazioni è bloccato, per cui sembra che “non ci sia comunicazione”, il dialogo rimane stagnante e limitato alla comunicazione esclusiva degli stessi argomenti. In realtà, dato che è impossibile non comunicare, i due partner non smettono di comunicare, ma utilizzano sempre lo stesso canale pur di non introdurre nuovi dati nel sistema, che altererebbe la dinamica relazionale instauratasi da tempo. Infatti ogni membro della coppia reagisce e si oppone, seppure inconsciamente, a qualsiasi tentativo che uno dei due faccia per cambiare l’organizzazione del sistema, perché modificare la comunicazione significherebbe trasformare anche il meccanismo su cui si regge la relazione. Tuttavia, il primo dei due che ristabilirà i ruoli che definiscono le relazioni interpersonali, interromperà il gioco.
La comunicazione produce sempre un effetto
Una interazione comunicativa è resa possibile grazie all’effetto della retroazione, nel senso che ogni comportamento ha un effetto su quello dell’altro e la reazione di chi riceve il messaggio influenza successivamente l’ulteriore comportamento di chi lo ha trasmesso. Pertanto gli effetti che la comunicazione ha su entrambe sono inscindibili e le informazioni vengono trasmesse in virtù di eventi concatenati. Tuttavia, la circolarità dei modelli della comunicazione comporta un errore che viene costantemente commesso dai partner di una coppia quando entrambe sostengono di reagire al comportamento dell’altro, che notoriamente l’ha provocato. In questo modo si addossano reciprocamente la colpa delle loro azioni, giudicandole come l’effetto dell’atteggiamento dell’altro, senza avere consapevolezza del fatto che ognuno influenza la reazione dell’altro con il proprio comportamento.
Se invece di logorarsi nel tentativo di convincere l’altro della correttezza del proprio modo di fare, uno dei due prendesse l’inizativa di adottare un qualsiasi altro comportamento, anche illogico purchè diverso, costringerebbe l’altro a dover inventare una nuova reazione.
Mentre le persone comunicano influenzano il sistema
Ne è un esempio il caso del marito che dichiara di chiudersi in se stesso di fronte alle critiche della moglie, e della moglie che dice di criticarlo proprio a causa della sua passività: “Io mi chiudo in me stesso perché tu brontoli” e “Io brontolo perché tu ti chiudi in te stesso”. Ognuno interpreta il proprio comportamento come reazione al comportamento dell’altro, ma non si accorge e non si assume la responsabilità di determinarlo in prima persona. Questa sequenza di interazione potrebbe continuare all’infinito, finché non viene ridefinita la cosiddetta punteggiatura che definisce i ruoli e i turni della comunicazione e rende lo scambio efficace e costruttivo (III assioma della comunicazione).
Stando a quanto detto è impossibile determinare quale dei due comportamenti viene per primo e ha innescato la reazione dell’altro o quale sarebbe la posizione dell’uno se non ci fosse l’altro. Sarebbe come chiedersi se la comunicazione della coppia è patologica perché uno dei suoi membri non comunica in maniera efficace, o se il fatto che uno dei due non sa comunicare rende la loro comunicazione patologica. Il paradosso è evidente.
L’effetto ridondanza
Se vogliamo capire come funziona la comunicazione, la ridondanza, così definita da Watzlawick e dagli esponenti della scuola di Palo Alto (1967), è un altro strumento che ce lo consente. La comunicazione comporta delle sequenze di interazione tra due persone: una modificazione provocata in una qualsiasi sequenza influenza quelle successive, che si modificano a loro volta. Così, secondo un sistema di ridondanza, ognuna ha in qualunque momento una eguale possibilità di essere determinata dall’azione reciproca delle altre, fino a che alcune configurazioni vengono immagazzinate e ripetute per diventare più probabili di altre. Ne deriva che le dinamiche di comunicazione sono governate da regole, spesso inconsapevoli, pertanto non esiste alcun rapporto necessario fra un fatto e la sua conseguente spiegazione, dato che un comportamento può essere determinato da un’infinità di cause possibili. In genere l’opinione che ci si fa del comportamento dell’altro si basa esclusivamente sulla propria personale valutazione dei motivi che lo hanno spinto ad adottarlo, nonché su un’ipotesi relativa a quello che passa nella testa dell’altro. Dunque, tutto ciò che possiamo postulare in merito ai motivi che lo hanno generato, deriva inevitabilmente da inferenze, illazioni e considerazioni personali, che restano inattendibili e che non sarebbero verificabili neanche se li si chiedesse all’altro, perché la risposta data potrebbe sempre venire falsata rispetto al reale motivo che ha indotto quel comportamento.
In quest’ottica dunque, le cause ipotizzabili o possibili del comportamento assumono un’importanza secondaria, nel senso che quello che conta è l’influenza che gli effetti della comunicazione hanno sulle persone. Allora può essere molto più utile chiedersi a che scopo comunichiamo certi contenuti, piuttosto che domandarsi quali sono i motivi che ci spingono a comunicare in una data maniera. Infatti una delle regole principali nella comunicazione è chiedere all’interlocutore: “a che scopo dici questo, cosa vuoi ottenere dicendo questo?”.
Gli assiomi della comunicazione umana
Stabilito dunque che un comportamento si può studiare soltanto nel contesto in cui si attua (prima regola della comunicazione), veniamo agli assiomi della comunicazione umana che ne regolano l’aspetto pragmatico o comportamentale secondo Paul Watzalwick:
1° assioma: è impossibile non comunicare
Il comportamento nella sua totalità, ovvero in tutte le sue forme ed espressioni – l’attività o l’inattività, le parole o il silenzio – ha valore di messaggio, nel senso che provoca degli effetti sugli altri influenzandoli inevitabilmente. Mettiamo per esempio che siete in treno e chiudete gli occhi per dormire, ma forse anche per comunicare che non volete essere disturbati.
Se però il passeggero che vi sta accanto ha voglia di parlare, vi diventa impossibile non comunicare perché con maniere più o meno brusche siete obbligati a fargli capire che non volete parlare. Qualsiasi strategia scegliate di adottare, seppure vi rassegnaste a conversare con il vicino, vi risulterebbe impossibile evitare di instaurare una relazione con lui.
Dunque c’è comunicazione anche quando essa non è intenzionale e anche in assenza di comprensione reciproca.
2° assioma: ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione (che consiste nell’accordarsi su quanto si sta comunicando in base al contesto, al contenuto e alla relazione).
Ciò vuol dire che oltre a trasmettere i contenuti (cosa si dice) comunichiamo anche il modo (come si dice) in cui vogliamo entrare in relazione con l’altra persona.
Quanto più la natura della relazione è sana, tanto meno è importante l’aspetto di contenuto della comunicazione e viceversa.
Se, per esempio due fisici non fossero d’accordo sul fatto che l’uranio abbia 92 elettroni, il tipo di interazione sarebbe assai diverso se a non essere d’accordo sulla stessa asserzione fossero due amici che di fisica non sanno nulla; in quanto molto probabilmente accadrebbe che uno offenda l’altro, magari facendo del sarcasmo sulla sua incompetenza in materia, ed entrerebbero in competizione finendo per litigare. I due amici forse avrebbero un po’ da discutere, ma poi ci farebbero su due risate. In buona sostanza, l’aspetto del contenuto trasmette informazioni, quello della relazione definisce il modo in cui queste si devono assumere. Nel caso dell’asserzione sull’uranio, basterà consultare un testo di chimica per eliminare il disaccordo a livello di contenuto. Tuttavia può restare un problema comunicativo sul piano di relazione, perché una volta stabilito chi abbia ragione, chi ha torto potrebbe risentirsi e portare rancore all’altro per non avergli riconosciuto le proprie competenze, intaccando così il rapporto.
3° assioma: la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti.
Ciò vuol dire che la natura della relazione dipende dal punto di vista dal quale la guardiamo. La soluzione sta nell’abbandonare l’idea per la quale si crede che il proprio comportamento sia stato provocato da quello dell’altro e nel considerare noi stessi come provocatori, ovvero chiedersi: “cosa faccio io perché l’altro si comporti così” e “quale atteggiamento ho avuto e cosa ho detto io perché l’altro facesse questo?”.
Questa modalità comunicativa consente di ripristinare l’equilibrio e uscire da un circolo vizioso, perché permette agli interlocutori di considerare l’uno la posizione dell’altro, ovvero quello che ciascuno fa in termini di causa e non di effetto, oltre che riconoscere i turni che scandiscono il flusso della conversazione
4° assioma: gli essere umani comunicano sia con il linguaggio numerico che con quello analogico.
Il sistema numerico, o linguaggio digitale, presuppone che per comunicare abbiamo bisogno di un accordo comune sulla terminologia da usare per definire un concetto. Tuttavia si tratta solo di una convenzione semantica della lingua, utile a farci comprendere e rendere comprensibile il contenuto di una conversazione.
Mentre il linguaggio analogico consente di farci comprendere una parola e comunicarla associandola ad un’immagine e a tutto ciò che la richiama per analogia. Per darvi un’idea, questo spiega perché non è possibile comprendere una lingua sconosciuta solo ascoltandola alla radio, ma è invece possibile comprenderla e persino parlarla guardando la televisione o stando in contatto con le persone, in quanto le parole diventano associabili per analogia ad un contesto e a dei gesti intenzionali da parte di chi la sta parlando. Dunque il sistema analogico include l’insieme delle posizioni corporee, i gesti, le espressioni facciali, le inflessioni della voce, la sequenza, il ritmo, la cadenza delle parole e ogni altra espressione di comunicazione non verbale, mentre quello digitale corrisponde al linguaggio verbale.
L’aspetto relativo al contenuto di quello che comunichiamo ha più probabilità di essere trasmesso con il linguaggio numerico, mentre per trasmettere l’aspetto inerente la natura della relazione ci si avvale quasi esclusivamente di quello analogico che, tuttavia, è soggetto alle più svariate interpretazioni: ci sono lacrime di dolore e lacrime di gioia; l’atto di serrare i pugni si può interpretare come segno di aggressività o di impotenza; un sorriso può esprimere comprensione o disprezzo; la riservatezza può manifestare indifferenza o sensibilità. Il nostro problema nella comunicazione consiste nella difficoltà di dover tradurre continuamente un linguaggio nell’altro e questo accade non senza una notevole perdita di informazione.
5° assioma: tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.
Esistono due tipi di interazione instaurabili tra due persone all’interno di una coppia: quella simmetrica, basata sulla somiglianza, ovvero sul rispecchiamento del comportamento dell’altro, per cui, se per esempio in una coppia l’uno è aggressivo e l’altro reagisce replicando con lo stesso atteggiamento di aggressività, è molto probabile che entrambe i partner esprimano la rabbia e la agiscano finendo con l’aggredirsi a vicenda; e quella complementare, ove comportamenti dissimili si sono adattati ai rispettivi ruoli e si richiamano a vicenda, per cui c’è sempre una persona che occupa la posizione cosiddetta one-up di superiorità, mentre l’altra occuperà quella secondaria one-down. Se A si comporta secondo un modello che culturalmente viene classificato di imposizione e B reagisce a questo comportamento secondo un modello generalmente considerato di sottomissione, è possibile che questo stato di cose incoraggi una progressiva imposizione di A nei confronti di B, il quale diventerà sempre più sottomesso. Esiste poi un terzo tipo di relazione cosiddetta meta complementare, per cui B consente ad A di assumere la direzione del proprio comportamento. Naturalmente le posizioni individuali possono assumere infiniti significati e variano in funzione della reciprocità di ruoli nel rapporto.
La relazione di complementarità in cui uno trasmette il messaggio e l’altro lo riceve, rende sana ed efficace la comunicazione, mentre quella simmetrica non consente scambio, in quanto entrambe assumono la stessa posizione, per esempio quando due persone continuano a dirsi delle cose cercando di convincere l’altro di avere ragione.