- Marzo 22, 2019
- Valentina Arci
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Come un solitario in attesa di qualche avvenimento, il tipo Cinque resta ad osservare la vita che gli scorre davanti, senza per questo soffrirne se non inconsciamente, perché, consapevole della sua alienazione, vive privandosi dei propri bisogni, senza più nutrire aspettative.
In realtà soffre profondamente di una sete di esperienze che, suo malgrado, ripudia perché inconsciamente ha paura di viverle.
Allora “… Tutto è lo stesso, del resto tutte le vite si equivalgono. Ho pensato che si poteva sparare oppure non sparare e che una cosa valeva l’altra”, disse Meursault ne “Lo straniero” di A. Camus, che sembra non provare alcun rimorso per il suo misfatto e che, una volta condannato, si accorgerà quanto l’universo stesso sembri indifferente all’umanità. Del resto egli pensa che ogni azione porti a un identico risultato, mostrandosi indifferente alle circostanze della vita, nonché alle conseguenze del suo gesto, proprio come se fosse estraneo al mondo che lo circonda.
“Apre le porte con prudenza ed esita prima di varcare una soglia … Infila un piede oltre, l’altro però lo lascia fuori. Se non ha più motivo di temere sorprese, arrischia anche l’altra gamba. È avvolta in uno strato di cautela; altri fanno attenzione ai loro vestiti quando si siedono, lei al suo strato isolante. Ha già minacciato di impiccarsi ma non lo fa, non sopporta l’idea di dover magari sorbirsi l’odore del salvatore che recide il cappio” (E. Canetti).
Questa descrizione della Signorina Stringinaso ne “Il testimone auricolare” chiarisce l’impressione del tipo Cinque di vivere senza entrare a pieno nella vita, restandone fuori per paura di dover sentire e agire.
L’isolamento porta queste personalità a non cercare il contatto con gli altri temendo di essere espropriati della loro anima e dei loro sentimenti, così si limitano a dare quel tanto che permetta loro di mantenere le relazioni in modo superficiale, sottraendosi alla possibilità di instaurare un legame profondo.
Pertanto questo tipo sviluppa un’avarizia che lo porta ad accumulare beni e a tenerli per sé, avendo anche poco da offrire e non avanzando pretese di nessun genere.
La mancanza di generosità e il distacco sono evidenti anche nella figura del Misantropo di Moliere, che non vuole piegarsi a compromessi per vivere nella società del suo tempo, né tanto meno adattarsi alle consuetudini. Infatti Alceste, protagonista de “Il misantropo”, è un idealista intransigente, che chiede alla sua amata di abbandonare le abitudini e i vizi mondani per vivere insieme, e che pur di non condurre un’esistenza considerata fittizia, rinuncia persino a lei.
Egli infatti, finirà per ritirarsi a una vita solitaria che lo condurrà a giudicare i comportamenti umani esclusivamente improntati a ‘fare buon viso a cattivo gioco’, e pertanto a rifiutare certi atteggiamenti.
Perciò, per paura di non sapersi trattenere dal restare letteralmente inghiottito dall’esperienza di vivere, il tipo Cinque si rassegna al proprio modus vivendi e si astiene dal partecipare agli accadimenti del resto del mondo.
Queste personalità sono rimaste fortemente deluse dal confronto con la realtà, che non è così rassicurante come gli era stato fatto credere da bambini e dal fatto che debbano cavarsela da soli. Perciò, sentendosi abbandonati, hanno trovato rifugio nel loro mondo intimo, esclusivo e privato, ove nascondersi e restare indisturbati. Per timore di essere privati della loro ricchezza interiore e di soffrire per questo e per via della mancata capacità di fare richieste, sono costretti a ridurre ogni necessità e a rinunciare a tutto ciò che è essenziale per non cadere nella ‘tentazione di vivere’.
È il caso di Siddharta, che sopporta una vita di deprivazioni e si considera superiore alle debolezze umane e che quando ne cade vittima, si pente così amaramente da pensare di togliersi la vita per purificarsi e per il quale “tutto appare un po’ diverso quando lo si esprime, un po’ falsato, un po’ sciocco … che ciò che è tesoro e saggezza d’un uomo suoni sempre un po’ sciocco alle orecchie degli altri” (H. Hesse).
Alla fine del suo lungo peregrinare insegnerà a Govinda, suo inseparabile amico, come anche il più puro degli uomini possa cadere nel peccato, a dimostrazione dell’eterno conflitto in cui si trova il tipo Cinque in lotta tra la voglia e la paura di vivere.
Allo stesso modo Gregor Samsa, il commesso viaggiatore de ”La metamorfosi” di Kafka, riflettendo su quanto priva di autentiche gioie sia la sua vita, si lascia morire a causa del suo essere ‘diverso’, soffocato dall’impossibilità di esprimersi liberamente. La sua trasformazione, definita “un nutrimento sconosciuto e sempre desiderato”, in un orrido insetto, è la chiara metafora di una fuga apparente dalla realtà, a riprova di quanto il richiamo alla concretezza del reale possa determinare uno spaesamento e un disorientamento tali da preferire di rinunciarvi.
Bibliografia:
– Camus, Lo straniero, Bompiani, Milano, 2015
– H. Hesse, Siddharta, Adelphi, Milano, 1975
– Moliere, Il misantropo, Giunti, Milano, 1998
– F. Kafka, La metamorfosi, Feltrinelli, Milano, 2013