- Marzo 22, 2019
- Valentina Arci
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La generosità compulsiva e l’eccessiva adattabilità alle esigenze altrui, rendono il tipo Nove particolarmente malleabile nel dedicarsi ai desideri di chi gli sta intorno per non sentire i propri. Pertanto, senza mai lamentarsi si prodiga stoicamente nell’eseguire ordini, stando a servizio di qualunque necessità gli venga espressa. In tal modo si esime dal dover prendere decisioni, sottomettendosi a quelle che lascia prendere agli altri anche per sé, soprattutto perché non saprebbe in che direzione orientarsi.
Si tratta di un carattere apparentemente più equilibrato degli altri, solo in virtù della rassegnazione con la quale affronta le vicende della vita. Infatti è orientato nell’agire dall’accidia, nel senso che compie le sue azioni passivamente, risultando pigro e privo di spirito di iniziativa.
Questi tipi ritengono che sia inutile condurre la vita con affanno e renderla complicata, preferiscono adeguarsi a seguire il flusso degli eventi per non rischiare di dover prendere decisioni e per vivere in pace, scevri da dissidi.
Così per assecondare questo stile di vita, hanno bisogno di vedere sempre il lato positivo delle cose, proprio come faceva Pollyanna nel romanzo di E. H. Porter, che “sembra non faccia fatica a essere contenta di tutto”. Pollyanna, vittima di varie disgrazie, tra le quali quella di essere rimasta orfana, inventa ‘il gioco della felicità’, che “consiste nel trovare qualcosa di cui ci si possa rallegrare in qualunque circostanza”, per tenere lontana la tristezza della sorte che le è toccata. In effetti questo personaggio incarna perfettamente il tipo Nove, tanto da far diffondere l’uso del termine ‘pollyannismo’ o ‘sindrome di Pollyanna’ per indicare un esagerato ottimismo, con il quale la bambina si attira la simpatia di tutti, ma che talvolta puiò rivelarsi rischioso. Mostrando un implacabile entusiasmo per l’esistenza, cerca di compensare il senso di vuoto e di perdita interiori, causati dalla mancanza di contatto con i propri bisogni e con i propri sentimenti.
Tuttavia, queste personalità sembrano godere della compagnia altrui e dei piaceri della vita in funzione dell’agio di non dover cambiare nulla, per non rischiare di vivere possibili sconvolgimenti emotivi. Per questo rendono leggere le cose e ne minimizzano l’importanza senza preoccuparsi di avere alcuna fretta di vivere, in quanto sono in attesa e in balia degli eventi per come si dipanano.
Questo stato di indolenza serve loro per adagiarsi ad uno stato di abbandono, così da nascondere la rabbia che sentirebbero se si accorgessero di come vivono.
Peraltro, l’ingenuità e la contentezza con la quale si approcciano alla vita, li rendono dimentichi di sé stessi e, inconsciamente, allontanano la sofferenza che altrimenti gli sarebbe insopportabile.
Dunque preferiscono compiacersi della vita altrui, per cui è come se dicessero: “Vivo dei loro piaceri. Ognuno ha la propria maniera d’amare, e la mia non fa male a nessuno: perché allora la gente si occupa di me? Sono felice a modo mio!” (H. De Balzac), proprio come afferma Papà Goriot, che permette alle figlie di approfittare della sua generosità per vederle soddisfatte e accontentare ogni loro capriccio, fino a morire a causa dei sacrifici fatti in vita.
Ne costituisce un altro esempio lampante Sancho Panza, fedele servitore di Don Chisciotte, che segue tanto fiduciosamente da farsi trascinare in imprese disastrose perché, proprio a causa della sua ingenuità, crede che gli lascerà un castello e il governo di un’isola. Egli contrasta la grandezza del sé eroico e grandioso di Alonso con la debolezza di un sé insicuro e sottomesso, rappresentando la parte più razionale e logica e donandogli la possibilità di vivere situazioni di fantasia con le quali divertirsi assecondando ogni suo desiderio.
Bibliografia:
– Manzoni, I promessi sposi, Gedi Gruppo Editoriale, Roma, 2010
– E. Canetti, Il testimone auricolare, Adelphi, Milano, 1995
– E.H. Porter, Pollyanna, DeAgostini, Novara, 1992
– H. de Balzac, Papà Goriot, Rizzoli, Milano, 1997 (Vautrin)
– M. de Cervantes, Don Chisciotte, Einaudi, Torino, 1992 (Sancho Panza)