Non siamo consapevoli di tutto quello che comunichiamo

Comunicare verbalmente è un fenomeno culturale appreso, ma la comunicazione non verbale è un fenomeno istintivo naturale e, in quanto tale, non è facilmente interpretabile perché la maggior parte dei segnali che mandiamo con il linguaggio del corpo viene trasmessa in maniera inconscia. Dunque può essere molto utile accorgersi delle posizioni corporee, dei gesti, degli sguardi che assumiamo per comunicare e imparare a riconoscere quelli altrui.

Quando comunichiamo, molti dei nostri atteggiamenti, delle modalità con cui ci poniamo nei confronti delle situazioni e degli altri, di nostre idee e giudizi, vengono trasmessi senza che ce ne accorgiamo, facendo passare così molto di più di quanto si vorrebbe, perché la maggior parte degli aspetti comunicazionali sfuggono al nostro controllo consapevole.

A questo riguardo Michael Cazzaniga e Roger Sperry (http://www.lescienze.it/news/2012/03/17/news/storia_di_due_met-911302/) hanno proposto un modello per il quale esistono tante menti linguistiche non verbali e una sola mente verbale, che tende a giustificare e integrare le azioni che si originano a partire da quelle non verbali, di cui non siamo affatto consapevoli e che portano l’individuo a bleffare persino con se stesso. Non sapendo come e perché realizziamo certi comportamenti, né sapendo verbalizzare tutto quello che accade, predisponiamo inconsciamente l’altro ad avere un certo tipo di reazione nei nostri confronti, che inevitabilmente definirà e influenzerà la natura della relazione.

Siamo totalmente inconsapevoli di una serie di processi cognitivi mediante i quali comunichiamo sul piano affettivo

Gli aspetti di cui in genere non siamo consapevoli nella comunicazione riguardano il linguaggio non verbale.

La comunicazione non verbale viene suddivisa in:

  1. statica, che consiste nei messaggi inviati mediante il linguaggio del corpo sulla base delle contrazioni emozionali e fisiche prodotte dagli eventi passati, che nel tempo hanno contribuito a modificare muscoli, pelle e ossa modellandoli come una scultura e che determinano la conformazione fisica assunta solitamente quando comunichiamo;
  2. dinamica, che comprende tutti quei messaggi dei quali viene data un’interpretazione inconsapevole, senza che la coscienza sembra esserne informata. Essa si serve di alcune discipline utili all’osservazione della comunicazione non verbale:
  3. prossemica, che riguarda la gestione delle distanze che teniamo tra il nostro corpo e quello dell’altro e dei posizionamenti fisici assunti nello spazio (tendenza ad allontanarsi o avvicinarsi con il corpo o parti di esso, ad esempio orientare la parte inferiore del corpo come le gambe da una parte e quella superiore come testa e busto dall’altra);
  4. cinesica, che comprende l’insieme dei gesti che compiamo, la mimica facciale e i tipi di sguardi (toccamenti, deglutizione, orientamento dei piedi e dello sguardo);
  5. paralinguistica, che comprende i tratti non verbali attinenti alla modulazione e al ritmo della voce, i rumori che facciamo con il corpo come il tamburellare con le dita o che provengono dallo stomaco (raschiarsi la gola, sbuffare, sospirare ecc.);
  6. digitale, che riguarda tutti quei gesti che si possono fare per cercare il contatto fisico con l’altro, come mettere una mano sulla spalla (disposizione o meno ad accettare il contatto fisico);
  7. olfattiva, che si riferisce agli odori che il corpo emana (produzione di ferormoni e odori gradevoli o sgradevoli).

 

Comunicazione non verbale. Perché non conta ciò che si dice ma come si dice

Il corpo è il canale attraverso cui il messaggio arriva all’altro senza che ve ne rendiate conto. Ciò vuo dire che mentre parla l’individuo è conscio delle parole che utilizza, ma non ha consapevolezza dell’aspetto irrazionale della comunicazione, ovvero degli atteggiamenti emotivi e delle scelte viscerali che assume durante un dialogo e che pertanto avvengono in modo del tutto inconsapevole. Questo dipende dal fatto che abbiamo una mente non verbale, governata dall’emisfero cerebrale destro e una verbale, guidata da quello sinistro, che non conosce le intenzioni e gli scopi della mente non verbale. Dunque la comunicazione non verbale si serve di un codice nascosto, per cui comprendere il non verbale dell’altro significa avere un’idea più veritiera di quello che vuole comunicare.

Se per un attimo immaginaste di togliere l’audio al vostro interlocutore, notereste moltissime cose di cui altrimenti di certo non vi accorgereste interessandovi solo al contenuto verbale.

Il linguaggio del corpo, isolatamente considerato, contribuisce al 60-80% all’impatto dell’incontro, facendo sì che le persone si formino un’opinione iniziale dell’interlocutore in meno di 4 minuti basandosi solo sull’aspetto non verbale della comunicazione (Allan & Barbara Pease, 2004). Una spiegazione potrebbe individuarsi nel fatto che ogni gesto o movimento è il riflesso dello stato emozionale ed è indicativo di stati d’animo che il più delle volte sono in netto contrasto con quello che comunica la voce. Un messaggio è interpretabile alla luce delle altre azioni che lo accompagnano, ovvero dell’insieme dei gesti e nella misura in cui questi sono coerenti con quello che si dice, così come comprendiamo il significato di un termine solo se collocato nel contesto di una frase. Ricordiamo che l’impatto di questi segnali non verbali è di circa cinque volte maggiore di quelli verbali. Gesti e sentimenti sono direttamente correlati, perché i gesti sono dei movimenti muscolari involontari, e in quanto tali, sono difficilissimi da controllare, a dimostrazione che il linguaggio del corpo è più onesto delle parole. Infatti, per esempio, chi è predisposto ad essere sincero in genere tiene i palmi delle mani aperti e lo fa come gesto inconsulto di cui spesso non si accorge, perché ha difficoltà a mentire. Ricordatevi dunque, che anche il vostro corpo parla, comunica sensazioni, esprime pensieri e, spesso, proprio la postura, la mimica, lo sguardo, dicono quello che non dite con le parole e tradiscono le vostre intenzioni cognitive e verbali.


Come interpretare i segnali che comunica il linguaggio del corpo

Il potenziale comunicativo delle parole risulta amplificato in virtù del linguaggio del corpo, che chiarisce il significato dei messaggi non verbali che mandiamo e che ci aiuta a comprendere anche quelli degli altri, se impariamo ad osservare i loro gesti e movimenti. Per esempio quando un ascoltatore incrocia le braccia, seppure lo faccia inconsciamente, mostra di essere contrariato da quanto dice l’altro e di prestare anche meno attenzione a quanto gli sta dicendo, dato che questo gesto è interpretabile come un segnale di rifiuto, oltre che di chiusura o distanza.

Lo sguardo è il principale veicolo con il quale si entra in contatto con l’altro, perciò quando si comunica bisogna mantenere il contatto visivo con l’interlocutore in modo da metterlo a suo agio. Occorre trovare una distanza adeguata a reggere uno sguardo costante ma non invadente, che porti ognuno ad avere la libertà di avvicinarsi e di allontanarsi in misura proporzionata al grado di initmità. Per stabilire la giusta distanza da prendere può essere indicativo notare se l’altro arretra oppure si protende verso di voi. In caso l’altro si allontani è bene non continuare ad avanzare per non rischiare di metterlo in imbarazzo.

La voce va modulata armoniosamente se si vuole trasmettere il messaggio in maniera efficace, alzando e abbassando il tono in accordo con l’enfasi richiesta dall’importanza di quello che vogliamo comunicare, come se seguisse un ritmo musicale intervallando il discorso anche con delle pause, che esaltano l’interesse nell’interlocutore.

La posizione che assumono le nostre mani è per lo più inconscia, pertanto spesso contrasta con le parole che si dicono. Quanto più i movimenti accompagnano coerentemente quello che si dice, tanto più la ricezione del messaggio è facilitata. I palmi delle mani erano in origine le corde vocali del corpo perché parlavano più di qualsiasi altra parte e nasconderli esprimeva la volontà di tenere la bocca chiusa, tanto che tenere le mani in tasca durante una conversazione sconveniente è la tattica preferita da chi non desideri parteciparvi. Quando volete entrare in sintonia con chi vi ascolta invece, è bene tenere i palmi di entrambe le mani rivolti a chi avete di fronte in segno di apertura e di schiettezza, in quanto è un gesto che, dal punto di vista evolutivo, suggerisce che non possedete armi e siete disposti ad accogliere (Allan & Barbara Pease, 2004).

Le braccia chiuse o conserte al petto mettono una barriera tra se stessi e gli altri con l’intento di tenersi lontani da situazioni sgradevoli, esprimono dissenso e mancanza di disponibilità in quanto nel prendersi le braccia la persona si afferra per sostenersi e coprire la parte anteriore del corpo che è simbolicamente la sede delle emozioni. Incrociare le braccia o nascondere il palmo delle mani nasce dal bisogno di difendersi, ma chiude la possibilità di entrare in relazione con l’altro e dunque compromette l’efficacia della comunicazione.

Il corpo, se proteso leggermente in avanti, permette di sollecitare un avvicinamento dell’altro verso di sé. La postura, se rilassata, consente di mettere a proprio agio chi vi sta di fronte e di creare un clima di familiarità. Questo serve ad acquisire sicurezza nel parlare e ad attirare l’interesse di chi ascolta.

Assumere una posizione del corpo eretta e protesa verso l’altro restituisce un’immagine di sé disinvolta e accattivante, mentre posizioni curve e instabili comunicano insicurezza e indecisione. In questo modo ci possiamo mostrare per come desideriamo che gli altri ci percepiscano ed evitiamo di frapporre ostacoli alla comunicazione.

Quello che conta è essere consapevoli di quale sia il messaggio non verbale che si sta inviando e che si accordi con quanto viene detto. Attraverso il linguaggio del corpo si fornisce un contesto fisico di riferimento che dà significato al contenuto verbale e che influisce potentemente sull’efficacia della comunicazione.


Come riconoscere i modelli di comunicazione non verbale

Virgina Satir (1916-1988), ha postulato l’esistenza di alcune categorie di comunicazione non verbale, che offrono uno spunto interessante sul riconoscimento dei segnali corporei dell’altro e sulla scelta di quale sia la strategia di comportamento non verbale migliore da adottare a seconda di chi abbiamo di fronte.

Nell’appianatore il peso del corpo è equamente distribuito e determina una posizione simmetrica e bilanciata che esprime forza e stabilità e che comunica l’autorità e la calma tipiche di un approccio deciso. I palmi delle mani sono rivolti verso il basso come se poggiassero su un piano orizzontale e si muovono simmetricamente a partire da metà petto verso il basso e verso l’esterno. Questo tipo usa un tono di voce discendente servendosi di numerose pause tra una frase e l’altra, in modo da creare uno spazio per parlare lentamente e profondamente. L’adozione di questo modello permette di abbassare il livello di energia quando occorre e di mantenerlo uniforme. Quello che si trasmette è di essere credibili e affidabili.

Il propiziatore tiene le mani con i palmi rivolti verso l’alto, quasi in segno di supplica con la testa leggermente china in avanti, suggerendo apertura ma allo stesso tempo vulnerabilità, in quanto parla per ingraziarsi l’altro e compiacerlo. Adottare questa posizione non è consigliabile, se non nei casi in cui c’è la necessità di evitare un conflitto con l’interlocutore.

L’accusatore invece, è proiettato in avanti con le braccia alzate e il dito puntato, con un fare inquisitorio che non implica l’esigenza di ricevere risposte; quello che gli interessa è colpevolizzare l’altro e farlo sentire in torto con un’aria di superiorità. In genere è una modalità che ravviva l’energia che circola nell’ambiente e può essere utilizzato a proprio vantaggio per prendere potere rispetto a ciò che viene detto, indicando quello che conta in modo puntuale, che consente di aggiungere enfasi al discorso.

Il calcolatore è pensieroso e passivo, molto razionale, non mostra alcuna emozione; in genere assume la posizione del pensatore con la fronte corrugata e il mento appoggiato ad una mano in segno di concentrazione. La sua voce è monotona e le parole sono tendenzialmente astratte. Resta sempre calmo, freddo e imparziale. Questo stile di comportamento può essere utilizzato per guadagnare tempo quando viene posta una domanda alla quale si vuole rispondere in modo adeguato, perché dà l’impressione di valorizzare la richiesta.

Il confusionario è totalmente asimmetrico, dato che tiene la schiena e le braccia in modo irregolare come se il corpo andasse contemporaneamente in tante direzioni diverse, che insieme ad una voce anch’essa mutevole, distrae dal contenuto di quello che dice, senza trasmettere nulla di concreto. Parla per il puro gusto di parlare e tende ad accentuare il tono sull’ultima parola pronunciata alla fine di ogni frase, che produce uno stato di confusione e un effetto disorientante in chi ascolta. Infatti quello che succede è che la frase suona come una domanda piuttosto che come un’affermazione. Quando invece la voce resta costante per l’intera durata della frase, suggerisce all’inconscio che si tratta di un’affermazione; mentre se il tono si abbassa viene considerato un ordine, anche qualora si tratti di una domanda. Questo atteggiamento funziona molto bene per depistare gli interlocutori inopportuni, che potrebbero mettere in difficoltà chi parla assumendo la posizione dell’accusatore.

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