“Mister Stevens dice sempre che dobbiamo mandare avanti la casa e lasciare il resto al suo posto … Per mister Stevens esiste solo il lavoro”.
Mister Stevens (Anthony Hopkins) è il primo maggiordomo della dimora aristocratica di lord Darlington, presso cui da oltre venticinque anni presta i propri servigi con la devozione impeccabile e l’abnegazione assoluta tipiche di un carattere Uno.
Egli ha idealizzato il suo mestiere elevando il proprio incarico al grado di servitore perfetto, tanto da stirare il giornale e da prendere le misure sulla tavola per controllare che le posate siano al posto giusto. Se per caso mentre è indaffarato passa il padrone, ha l’accortezza di nascondere dietro di sé la paletta di cui si sta servendo per raccogliere la polvere, per non far sembrare nulla fuori posto, usando lo stile del perfetto gentleman. Qualora offra da bere e l’invito venga declinato, resta in attesa che il bicchiere sia comunque preso, come se non gli si potesse rifiutare nulla. Non manca mai di usare un linguaggio ricercato e rigoroso, scegliendo accuratamente ogni vocabolo in tutte le occasioni. Ama riprendere e correggere gli altri anche riguardo al loro modo di parlare, pur mostrandosi educato e gentile e mantenendo nei loro confronti la dovuta considerazione. Tuttavia, risulta brusco e irritabile, sempre pronto a mettere i puntini sulle i, sebbene non faccia mai trapelare le sue emozioni, mantenendo un gran contegno.
Infatti, dice persino che “i fiori sono delle distrazioni da ridurre al minimo”.
È tanto puntiglioso da essere esasperante, così quando per esempio miss Kenton, la governante, (Emma Thompson) gli fa ironicamente notare quanto fosse ridicolo obbedire al suo ordine di chiamare gli altri inservienti per cognome, le risponde: “Forse ora mi lascerete adempiere al mio dovere”, tornando ad occuparsi immediatamente delle proprie faccende. Queste e altre affermazioni, come quando dice: “Ecco l’ideale a cui dovremmo tutti mirare: la dignità”, sono emblematiche del suo senso maniacale dell’ordine e della disciplina, in virtù del quale è costretto a adottare un comportamento retto e controllato, mostrando di avere un atteggiamento sempre decoroso. Miss Kenton, infatti, gli risponde prontamente: “Non volevo allontanarvi dal vostro dovere”. Tra l’altro, è abilissimo ad eseguire alla perfezione le istruzioni che riceve, così come a far rispettare gli ordini impartiti, perché esige dagli altri lo stesso rispetto che egli riserva loro.
Mister Stevens è praticamente uguale a suo padre che, ormai anziano, è ancora al servizio della casa presso la quale è impiegato il figlio e che, quando cade, si preoccupa che l’argenteria non si sia rovinata e insiste affinché le mattonelle sulle quali è inciampato vengano riparate così che tutto sia sotto controllo, come si premura di chiedere che avvenga persino sul letto di morte. Per loro, come per i caratteri di tipo Uno, ordine e tradizione contano più di ogni altro valore, tanto che il figlio non ha alcuna remora a ridurre le mansioni del padre a semplice pulitore e, pur di fare il suo dovere, rimanda anche questioni importanti di cui vuole parlargli, nonostante sia in fin di vita ed è evidente che non ci saranno altre occasioni per farlo. Ordina al padre di lavorare senza curarsi delle condizioni di fragilità in cui versa e scusandosi piuttosto, in sua vece, per gli errori che commette, occupandosi dell’apparenza prima ancora che della sua salute.
Così, la priorità attribuita al dovere cui adempiere, lo rende persino impassibile innanzi alla vista del padre morente, senza che traspaia alcun timore o sofferenza. Si infastidisce quando la governante gli porta notizie del padre, come se si trattasse di qualcosa che lo distoglie dai suoi affari e sembra combattuto tra ascoltare quello che ha da dirgli e continuare a fare il suo lavoro. “Sono molto occupato in questo momento miss Kenton”, le dice congedandosi e lasciando che sia lei a chiudergli gli occhi e a dargli l’ultimo saluto.
“Mio padre avrebbe voluto che io continuassi a fare il mio dovere, non posso deluderlo”, dice con un tono affettato e contenuto per giustificare il suo senso di colpa, mostrando di riuscire a mantenere un contegno sorprendente riguardo ai suoi sentimenti, nonché un controllo irreprensibile della commozione, persino in una situazione tanto drammatica qual è la morte del padre, apparendo quasi disumano.
D’altra parte, la repressione di ciò che prova deve essere totale perché gli sia possibile adempiere completamente alle sue mansioni e compiacere il padrone in maniera ineccepibile. “La mia filosofia è che un uomo non possa ritenersi soddisfatto finché non abbia dato tutto se stesso per rendere servizio al suo padrone”. È sottinteso sempre che il proprio padrone sia un uomo superiore non solo per ceto o ricchezza, ma anche per levatura morale”. Infatti lord Darlington dice di lui: “È un pilastro della casa, senza di lui non so che cosa faremmo”.
La sua devozione all’ideale di fedeltà viene manifestata in più occasioni: emblematica quella in cui il droghiere del villaggio, dopo la guerra, quando ormai la proprietà è passata a un ricco americano, accusa lord Darlington di essere stato un filonazista e mister Stevens risponde che ora lui è al servizio di un’altra persona: “Mai avuto rapporti col vecchio proprietario”.
Allo stesso modo, quando uno degli ospiti di Lord Darlington insiste nel chiedergli la sua opinione in merito alle discussioni politiche su cui si stanno intrattenendo, mister Stevens gli risponde: “Io non sento nulla, ascoltare le conversazioni dei signori mi distrarrebbe dal mio lavoro”, ripetendo che “non può essere di aiuto in materia”, senza mostrare il minimo sdegno.
Il carattere gli impedisce di ribellarsi all’autorità, proprio come accade a un bambino che obbedisce agli ordini impartiti per il timore, altrimenti di essere punito.
Tuttavia, piuttosto che sentirsi frustrato e impotente per la sua deferenza e sottomissione, preferisce assoggettarsi alla volontà altrui, anche a costo di essere ritenuto un simpatizzante dell’orrore nazista, come accade quando accetta di licenziare le due cameriere ebree, affermando che “si rimette alle decisioni del padrone”, non tanto perché crede alle sue convinzioni, quanto per non venire meno all’assolvimento dei suoi compiti e restare devoto a “Sua Signoria”. Sempre a questo proposito, quando gli viene chiesto se “condivideva le sue opinioni”, mister Stevens risponde: “Io ero il suo maggiordomo, dovevo servirlo, non approvarlo o disapprovarlo […] Confidavo in lui completamente”. In questo caso è evidente come il senso della giustizia sia relativo a criteri universali piuttosto che personali, accettati pur senza essere condivisi.
Riguardo all’episodio citato, infatti, quando miss Kenton gli fa notare che lui stesso aveva ammesso che lavorano bene, ma allorché si era trattato di mandarle via, era rimasto impalato, “come se stessero parlando di ordini per le provviste”, mister Stevens ribatte all’accusa, pur mantenendo il consueto distacco dalla faccenda e, riferendosi prima ai sentimenti della governante, piuttosto che ai propri, le risponde: “Ricordo che ne foste addolorata quanto me”. Ma miss Kenton allora rincara la dose con disappunto: “Cosa? Quanto me? Perché dovete sempre nascondere quello che provate? Ma guardate il sorriso che avete”.
“Quale sorriso?”, chiede mister Stevens.
“Già in sé ci racconta una storia molto interessante: è una ragazza graziosa e a voi non piace che ci siano ragazze attraenti tra il personale. E se fosse che il nostro Mr. Stevens teme le distrazioni […] Fosse fatto dopotutto di carne e ossa e non si fidasse di se stesso?”.
“Sapete cosa sto facendo? Sto dirigendo il mio pensiero altrove mentre voi chiacchierate”.
“E quel sorriso colpevole?”.
“Sono divertito per le sciocchezze che siete in grado di inventare”.
“… Non riuscite nemmeno a guardarla”.
È chiaro come la governante cerchi di far breccia nel suo cuore, mettendo a nudo le sue emozioni nascoste, che però mister Stevens reprime e finge di ignorare, rivelandosi ancora una volta incorruttibile.
Allo stesso modo, quando il padrone gli affida l’incarico di parlare al figlioccio di questioni sessuali, accetta l’incombenza senza tentennamenti, malgrado provi un comprensibile imbarazzo.
Mister Stevens non si concede una trasgressione neanche lasciandosi sfuggire una smorfia, così che la sua espressione grave non faccia trasparire quel che prova realmente.
A conferma di ciò possiamo analizzare il rapporto instaurato con miss Kenton, verso la quale nutre un sentimento d’amore che però non ha mai osato dichiarare, relazione che dunque resterà esclusivamente professionale, persino quando lei deciderà di lasciare la casa di lord Darlington. Mister Stevens le palesa il suo apprezzamento esclusivamente lodandone l’efficienza e lo zelo dimostrati nello svolgimento delle sue mansioni e quando le dice che è una donna molto piacevole, a scanso di equivoci, aggiunge, con il consueto tono austero: “Sarei perduto senza di lei, si decidono questioni fondamentali qui tra queste mura”.
Quando miss Kenton lo interroga sul libro che sta leggendo, che rivela l’interesse di mister Stevens per i romanzi d’amore, egli si giustifica dichiarando che quel genere di lettura gli serve per approfondire la cultura e la padronanza della lingua e, per mascherare la vergogna, le fa presente che “sta invadendo i suoi momenti di intimità”.
Sebbene abbia votato l’intera esistenza al lavoro e appaia come un uomo privo di desideri, mister Stevens prova dei profondi e sinceri sentimenti d’amore per miss Kenton, che però ritiene opportuno evitare di alimentare perché incompatibili con la sua ‘missione’, facendo così del dovere l’alibi per soffocare ogni emozione. Ad ogni modo, quando la governante sarà in procinto di abbandonare la casa, sotto la spessa patina di formalità e austerità, si affaccerà la tentazione di trattenerla, nonché di svelarle i suoi sentimenti, che tuttavia resteranno repressi. E a sua volta, riferendosi al destino di una delle inservienti, miss Kenton osserva: “Rimarrà sicuramente delusa dall’amore”, alludendo invece alla sua rassegnata frustrazione per il fatto che mister Stevens non le si sia mai dichiarato. Quando poi miss Kenton gli comunica che ha ricevuto una proposta di matrimonio e che pertanto si dimetterà, egli non fa altro che ringraziarla per la sua gentilezza, come è solito fare con chiunque, senza mostrare il minimo cenno di sorpresa o dispiacere, come invece lei si sarebbe attesa.
Neppure quando miss Kenton cerca di aprire un varco nella sua corazza, facendogli capire che la stessa servitù si prende gioco di lui parlando delle sue manie, appare scosso, anzi afferma con distacco: “Vi garantisco che non me la sono presa affatto, tanto che non mi ricordo nemmeno una parola di quello che avete detto, non ho proprio il tempo di stare così in ozio per parlare con voi in questo momento”.
“Devo ritenere che non abbia niente da dirmi? Sapevate di essere stata una figura molto importante per me?”. Persino queste parole, con le quali miss Kenton tenta ancora una volta di suscitare un’emozione nel suo animo, sembrano cadere nel vuoto.
Anche mister Cardinal, figlioccio di lord Darlington, cerca invano di trovare uno spiraglio per dialogare con mister Stevens in un modo più informale, dicendogli: “Voglio che parliamo da amici e voi state con quel dannato vassoio come se doveste sparire da un momento all’altro […] Non vi importa minimamente, non siete neanche un po’ curioso”, riferendosi a quello che sta accadendo nella riunione durante la quale il padrone sta prendendo importanti decisioni che potrebbero coinvolgere anche la servitù.
“Non è mio compito essere curioso di simili problemi […] Sono certo che agisce secondo principi nobili ed elevati”.
Come gli accade in questa e in altre situazioni, seppure vorrebbe dire altro, mister Stevens non trova le parole per esprimere le sue opinioni, né tanto meno le sue emozioni, come nel momento in cui scorge Miss Kenton che sta piangendo e la informa che un padiglione non è stato spolverato a dovere, riportando la conversazione su un piano professionale per non incorrere nel sentimentalismo. Persino quando si rincontrano dopo vent’anni, non è capace di svelare ciò che sente e si rivolge a miss Kenton con il consueto modo di fare grave e compunto.
“Spesso mi capita di pensare che terribile errore sia stata la mia vita”, gli dice Miss Kenton, confessando il suo rimpianto per aver accettato di sposare un uomo che non amava, piuttosto che seguire i suoi desideri.
“Si, ma sono certo che capiti a tutti di tanto in tanto”, ribatte lui, riferendosi chiaramente al suo errore e mostrando per la prima volta un ravvedimento in merito ai sentimenti che provava per miss Kenton e che ammette finalmente anche a se stesso quando afferma: “Anch’io ho commesso un errore, ma forse posso rimediarlo”.
A questo punto è chiaro il proposito di parlarle apertamente del suo amore, sebbene lo faccia velatamente e rassicurato dal fatto che, come le dice: “Potremmo non rincontrarci più, per questo mi permetto di parlarvi confidenzialmente”.
Infine, alla richiesta di Miss Kenton: “Voi in cosa confidate di più?”, risponde: “Tornare a Darlington Hall e risolvere i problemi col personale … è sempre stato sempre lavoro, lavoro e soltanto lavoro e continuerà ad esserlo”.
Quest’uomo appare dunque graniticamente incapace di affrancarsi dal suo carattere e anzi resta fino alla fine fedele ai propri dogmi, benché traspaia una certa intima consapevolezza della gabbia in cui capisce di essere imprigionato e dalla quale vorrebbe liberarsi, proprio come fa l’uccello che, entrato in casa, riesce però a volare via, e verso il quale volge uno sguardo pieno di rammarico.
Così, in nome di una rigida morale, mister Stevens riconosce di aver soffocato un amore potenzialmente ricambiato con la stessa meticolosità con la quale rispetta il ‘doverismo’, che vorrebbe abbandonare, ma al quale non riesce a ribellarsi.
Il protagonista del film incarna al meglio gli aspetti caratteriali del tipo Uno, così ben delineati da sembrare quasi esagerati, eppure perfettamente aderenti alla tipologia di un uomo votato ad una missione troppo elevata: il raggiungimento della perfezione.