cosa fare per cambiare

Cambiare … che stress!

Qual è la correlazione tra il cambiamento e lo stressCambiare implica necessariamente uno stress, ovvero un impiego di energie che richiede uno sforzo oltre misura atto a modificare uno stato di disagio. Così, per evitare lo stress, il più delle volte preferiamo indugiare persino in una situazione che genera malessere, pur di non uscire dalla nostra zona di comfort (abbandonare quello che ci rende sicuri, perché conosciuto, per affrontare cose nuove).

Dunque, malgrado ci si continui a lamentare della propria condizione, non si fa nulla per cambiare. A questo punto sorge spontaneo domandarsi come mai si tende a mantenere invariata una situazione che risulta insoddisfacente.

Cambiare comporta dover affrontare nuove sfide; sapersi mettere in gioco; impiegare un notevole dispendio di energie e di risorse; essere consapevoli del rischio di fallire; sopportare la frustrazione di un’eventuale fallimento, ma anche saper sostenere il cambiamento; sentirsi all’altezza delle situazioni; confrontarsi con il proprio giudizio di valore e con il senso di colpa (quando gli obiettivi non vengono raggiunti).

 

Perché è tanto difficile cambiare?

Gli elementi che non consentono il cambiamento sono:

  • Paura dell’ignoto. Tutto ciò che non si conosce e di cui non si ha certezza nella vita mette l’individuo in uno stato di ansia, generata dal timore rispetto a quello che si immagina di dover affrontare nel futuro. La paura è di non essere all’altezza di realizzare nuovi progetti; di reputarsi impreparati a reagire al cambiamento; di non riuscire nei propri intenti; di credere che non valga la pena provare a cambiare; di sentirsi giudicati riguardo alle scelte fatte.
  • Abitudini che danno sicurezza. In genere sembra più comodo restare aggrappati alle situazioni routinarie, seppure non rispondano a ciò che si vuole, perché apparentemente è meno faticoso che affrontare situazioni nuove. Perciò, senza rendersene conto, si rimanda all’infinito la realizzazione dei programmi che potrebbero consentire di cambiare per stare meglio.
  • Inconsapevolezza dei propri bisogni. L’incapacità di riconoscere quello di cui si ha bisogno è una strategia difensiva adottata il più delle volte inconsciamente per nascondere le reali esigenze, perché se ci si accorge di desiderare qualcosa che al momento non è raggiungibile, si è costretti a sentirne la frustrazione. Peraltro, una volta avvertita l’insoddisfazione, si innesca un meccanismo per il quale si è incentivati a cercare di ottenere quello che manca, ma farlo costa fatica e si incorre anche nel rischio di fallire. Dunque, per evitare di riorganizzare la propria vita in funzione di un cambiamento, si cerca di rimandare la realizzazione dei propri bisogni, persino negandoli.
  • Sfiducia nelle proprie capacità di ottenere quello che si vuole. Qui entra in gioco l’autostima, che qualora non sia adeguata, impedisce di confidare nelle proprie potenzialità. Dunque, la convinzione di non essere in grado di adottare delle strategie diverse da quelle che si sono apprese fino ad ora, non permette di adoperarsi per cambiare.
  • Automatismi caratteriali o nevrosi. Se si finisce col fare sempre metodicamente le stesse cose, ci si chiude a nuove opportunità e si perde la libertà di intraprendere condotte diverse. In tal modo si resta asserviti a modalità stereotipate di comportamento che impediscono di fare quello che veramente si vuole. Allora si perde il libero arbirtio e ci si dimentica di averlo, per sottrarsi all’assunzione di responsabilità che la scelta di cambiare comporta. Pertanto bisogna rimuovere le parti bloccate, inibite, disconosciute, alienate di sé che ostacolano le possibilità di effettuare un cambiamento.
  • Pretese e aspettative sul mondo e sugli altri. Ci si attende che tutto quello che si vuole provenga dall’esterno e ci venga quasi ‘offerto su un piatto d’argento’, per cui non ci si muove nell’ottica di conquistarlo con l’uso delle proprie forze. Dunque l’atteggiamento con il quale ci si approccia al cambiamento è influenzato dall’idea che prima o poi qualcosa cambierà da sé, per effetto di condizionamenti esterni, indipendenti dalla propria volontà.
 
 

Il cambiamento inizia da te

Non appena il bambino nasce è costretto a respirare da solo, ma si trova nella posizione d’impasse di chi non è ancora in grado di sostenersi da sé e allo stesso tempo già non riesce più a ottenere sostegno dall’ambiente che lo circonda. Tuttavia, deve imparare a respirare per non morire. Nel processo di crescita ci sono due possibilità di scelta: o si impara a superare le frustrazioni o si è viziati dall’ottenere immediatamente tutto quel che si vuole senza mobilitare le proprie risorse. Se l’ambiente fornisce la soddisfazione del bisogno ancora prima che emerga, l’organismo non allena e non sviluppa le potenzialità per rispondere alle proprie esigenze in maniera autonoma, in quanto solo sperimentando la frustrazione si sente la necessità di adoperarsi per appagare i propri bisogni. Finché non si è autosufficienti questa dinamica comportamentale è accettabile, ma poi, in assenza di risorse esterne cui appoggiarsi, l’individuo adulto è costretto a servirsi delle risorse personali per sopravvivere.

L’essere umano è l’unico mammifero che viene accudito tanto a lungo dai genitori, anche una volta che i suoi piccoli sono diventati autosufficienti, continuando a trattarli come se non lo fossero. Di conseguenza spesso accade che da adulti ci comportiamo come se non fossimo indipendenti, aspettandoci che quello che manca ci venga offerto dall’esterno. È un po’ come se ci attendessimo ancora di ‘essere imboccati’ dai nostri genitori e questo impedisce di muoverci autonomamente nella direzione giusta per ottenere ciò di cui abbiamo bisogno.

Per non essere frustrato, il bambino impara a manipolare l’ambiente recitando la parte dell’incapace e mostrandosi debole, aspettando che l’ambiente gli fornisca quello che gli è necessario senza impegnarsi personalmente per ottenerlo. Da adulto tenderà a fare esattamente la stessa cosa, cercando di ottenere il proprio ‘nutrimento’ dal partner, dai figli, dagli amici, dai familiari, proprio così come si aspettava di riceverlo dai genitori, che allora glielo concedevano in virtù della loro funzione di accudimento.

Allora l’organismo perde la capacità di affrontare il mondo liberamente

Così facendo commettiamo un grave errore, invece quello cui dovremmo mirare è la maturazione della personalità, ossia la transizione dal sostegno ambientale all’autosostegno, che, non a caso, è il fine della psicoterapia.

Molte persone mi chiedono: “Perché dovrei cambiare?”. Credere di ricevere ciò che vogliamo dagli altri può essere molto rischioso e deludente, perché le aspettative vengono spesso disattese, mentre affidarsi alle proprie risorse può rivelarsi un investimento più sicuro. Mantenere questo tipo di atteggiamento da adulti è piuttosto fallimentare, perché priva della creatività e del libero arbitrio, che sono le abilità che contano maggiormente per poter essere soddisfatti della vita che si conduce.

Elementi necessari al cambiamento:

 
 

Perché non riesci a cambiare?

Se una situazione o una relazione che vivi non ti soddisfa, perché non la cambi e basta?

Quante volte vi sarete domandati: “cosa devo fare per cambiare? E perché non ci riesco?”.

“Io vorrei ma non posso”. Questa è la tipica frase che mi viene spesso riferita in prima battuta dai pazienti che ancora non hanno preso confidenza con il processo di cambiamento, finché non comprendono che è solo un alibi per continuare ad evitare di impegnarsi a fondo rispetto al raggiungimento dei propri obiettivi.

A livello teorico sembra tutto facile: “non mi piace una cosa, allora la cambio”, ma non è così semplice perché subentrano dei meccanismi, denominati programmi mentali ed emotivi,  consci e inconsci che limitano il nostro agire e che diventano abituali.

Secondo Charles Darwin (1809-1882) se tutte le volte che ci trovavamo in uno stato mentale abbiamo agito in un determinato modo, avremo una forte e involontaria tendenza a compiere le stesse azioni ogni volta che ci troveremo in uno stato mentale simile, anche se queste non ci saranno di nessuna utlità. Così le azioni che inizialmente erano volontarie diventano ben presto abituali e infine ereditarie e allora possono essere compiute anche contro la propria volontà. Ecco perché non riesci a cambiare.

Vediamo ora quali sono questi meccanismi abituali e cosa fare per modificarli.

 
 

Qual è l’atteggiamento con cui ti approcci ai problemi?

  • Rassegnazione: quando per te non c’è più nulla da fare, finchè non vedi la possibilità di adottare nuove soluzioni, non pensi di avere le capacità e le risorse per cambiare e non ne vedi la ragione, rimarrai in balia delle situazioni e delle decisioni altrui. Questa prospettiva conduce ad avere un atteggiamento rassegnato, che nasce dalla tendenza ad attribuire le cause dei propri insuccessi al caso e alla sfortuna. Reputare che quanto ci accade non dipende da noi, bensì da quello che fanno gli altri o dal fatto che semplicemente accade, porta ad avere un approccio passivo e vittimistico (Locus of control esterno – Albert Bandura -), che non induce a cambiare. Anzi, piuttosto incita a persistere nell’uso delle stesse strategie e a mantenere uno status quo inalterato, sulla base della convinzione che nulla è modificabile per nostra volontà.
  • Sconforto: se affronti tutto con dolore e fatica e ti ostini a cambiare cose che non sono sotto la tua piena responsabilità, ti ritroverai a lottare invano sprecando tempo ed energie. In questo caso la tendenza è quella di credere che tutto si possa cambiare, anche qualora non sia in nostro potere, perché non si riesce ad accettare l’ineluttabilità degli eventi, né a considerare che talvolta bisogna anche essere disposti a rinunciare. Questo approccio comporta un’autoaccusa eccessiva e irrealistica, derivante dall’abitudine ad attribuire le cause dei risultati ottenuti esclusivamente a se stessi, finendo con l’adottare un atteggiamento autocolpevolizzante (Locus of control interno –Albert Bandura-).
  • Accettazione: questo è l’unico atteggiamento che ti consente il cambiamento perché ti aiuta a vedere oggettivamente in te, nelle situazioni e nelle altre persone le reali possibilità di cambiamento, accogliendo la realtà per ciò che è e accettando i tuoi limiti .
  • Mancanza di consapevolezza. Per cambiare è necessario conoscere i bisogni che permettono di agire in direzione dei tuoi obiettivi e desideri.
  • Mancanza di volontà. Alla base del cambiamento ci deve essere la ferma e decisa volontà di voler cambiare e la fiducia nelle tue capacità di farcela.
  • Modalità in base alle quali agisci/reagisci agli stimoli esterni.
    Se hai l’abitudine a reagire sempre nello stesso modo di fronte a situazioni simili, è perché la tua mentalità è di adottare automaticamente sempre le stesse strategie, anche qualora non si rivelino proficue e non consideri la possibilità di adottarne di alternative. Tuttavia, non è facile riconoscere e cambiare questi programmi mentali, perché spesso li adottiamo inconsapevolmente e sono profondamente radicati nel nostro modo di essere, pensare e agire, fino a diventare abituali. Dunque vanno progressivamente modificati fino a farne subentrare di nuovi e più funzionali, sostituendo quelli vecchi, che alla fine verranno dimenticati.
  • Assenza di deteminazione. La tenacia è indispensabile se vuoi intraprendere un cambiamento, perché se vuoi veramente cambiare qualcosa nella tua vita, devi perseverare nell’intento.
    Non basta sentire ciò che vuoi, non basta sapere cosa vuoi cambiare. È fondamentale agire con caparbietà e costanza. Se queste vengono a mancare, sarà facile avvilirsi e abbattersi, alimentando la pigrizia e l’impazienza.
  • Credere che il cambiamento dipenda dalle condizioni esterne. Un’altra cosa che è importante sapere e che costituisce un grande ostacolo al cambiamento è che bisogna accettare di non poter cambiare gli altri per ottenere ciò che vuoi, ma rinunciarci e sapere di poter cambiare soltanto te stesso.
 
 

Per cambiare le abitudini bisogna apprendere un nuovo modello

In psicologia la resistenza dell’essere umano al cambiamento è dimostrata da molti esperimenti, nei quali si riscontra che si preferisce restare persino in una condizione spiacevole piuttosto che tentare di modificarla, oltre alla predisposizione a persistere nell’uso della stessa strategia di problem-solving per lungo tempo prima di trovarne una alternativa.

Max Wetheimer (1880-1943), che si è occupato delle modalità e delle strutture mentali attraverso cui l’individuo perviene alla soluzione di un problema, sostiene che per risolvere un problema occorre una riorganizzazione delle parti che lo compongono in una nuova struttura. Il problema sorge nel momento in cui si frappongono degli ostacoli al raggiungimento degli obiettivi, che dunque richiedono di mettere in pratica un’azione e uno schema diversi da quelli cui siamo abituati e che fino ad allora ci sono serviti come modelli da ripetere.

In tal senso l’esperimento di Wolfgang Kohler (1887-1967) sulle modalità di acquisizione di un nuovo comportamento è esemplificativo. Egli mise delle scimme in situazioni problematiche, nelle quali per raggiungere il cibo occorreva adoperarsi con l’ausilio di bastoni, quando la banana era posta al di fuori della gabbia, o di alcune casse, quando la banana si trovava appesa al soffitto ad una distanza superiore da quella raggiungibile solitamente dall’animale.

Prima di ricorrere a nuove strategie di risoluzione, la scimmia ripeteva le stesse soluzioni adottate in precedenza, sebbene rivelatesi fallimentari, perché frutto dell’esperienza passata (Fase di preparazione). Dopo ripetuti tentativi, il problema veniva messo da parte e l’animale abbandonava l’idea di raggiungere il cibo, dunque perdeva la motivazione e rinunciava all’obiettivo (Fase di messa da parte). Quando sembrava ormai aver smesso definitivamente di fare delle prove, si guardava intorno e cercava di riorganizzare gli strumenti a diposizione. A questo punto ripercorreva le tecniche utlizzate fino ad allora e inziava a strutturale diversamente in maniera del tutto inconscia (Fase di incubazione), per poi improvvisamente avere l’illuminazione e adottare una strategia mai usata prima, come quella di unire due bastoni o mettere le casse una sopra l’altra per arrivare alla banana (Fase di insight) e trovare una soluzione davvero creativa.

Possiamo considerare il cambiamento come la risoluzione dello stesso problema attraverso l’uso di altri mezzi

Il nostro processo di cambiamento funziona nello stesso modo dei primati e prima di apprendere un nuovo comportamento e dunque poter sedimentare una nuova abitudine, dobbiamo perseverare nell’adozione di varie strategie, ricondizionando i nostri modelli secondo un apprendimento cosiddetto ‘per prove ed errori’

(https://www.saperessere.com/il-comportamentismo-di-thorndike-e-skinner-dal-connessionismo-allistruzione-programmata/).

Sostanzialmente la tendenza è quella di adottare sempre le stesse soluzioni.

L’abitudine ha una grande influenza nella scelta della direzione, perché l’energia nervosa fluisce con maggiore facilità lungo le ‘vie abituali’.

Nella mia pratica clinica, seguendo l’approccio della Psicoterapia della Gestalt, aiuto le persone a trovare soluzioni nuove e creative, in modo da abbandonare i vecchi sistemi di comportamento e di scelta disfunzionali, per adattarsi sempre ad ogni nuova situazione che si presenti e poterla vivere nel migliore dei modi.

All’interno delle sedute terapeutiche il paziente ha l’occasione di sperimentare che cosa succede se fa qualcosa di diverso nella circostanze che vorrebbe cambiare, facendo le prove attraverso delle simulazioni, che poi può replicare nella realtà.

Quello che ci accade nella vita richiede sempre un cambiamento e una ristrutturazione dei nostri comportamenti in vista di un adeguamento alle novità, proprio come quando dovete cambiare casa o lavoro e riadattarvi a nuove abitudini, nuove conoscenze e nuovi schemi.

Insomma, per adattarsi bisogna cambiare e allora come possiamo facilitare il cambiamento?

Il cambiamento richiede tempo e perseveranza, e si ottiene operando passo dopo passo.

 

Cosa fare per cambiare in 6 passi

  1. Identifica una cosa che vuoi cambiare veramente. Senza una meta precisa o un obiettivo specificamente definito non è possibile iniziare un processo di cambiamento. Infatti, restare vaghi rispetto alla definizione di ciò che vogliamo, diventa una scusa ulteriore per non agire in quella direzione. Per giunta non vorremmo fare nessuno sforzo per avere quello che desideriamo, soprattutto se siamo abituati ad ottenerlo senza fatica. Tuttavia le mete che raggiungiamo con un po’ di sforzo comportano una maggiore soddisfazione, per cui bisogna credere che cambiare vale sempre la pena. Dunque visualizza ciò che vuoi in maniera chiara e immagina come ti sentiresti se lo avessi concretamente realizzato.
  2. Genera un progetto a breve termine, ponendoti un obiettivo che sia abbordabile e congeniale alle tue possibilità, affinchè sia davvero realizzabile e possa essere il primo passo per poi seguirne uno più a lungo termine. Ricorda di iniziare da propositi fattibili e di facile riuscita. Gli obiettivi che ti poni devono sempre essere compatibili con le energie e le risorse che hai a disposizione e andare in crescendo, secondo l’apprendimento di nuove competenze che ti rendano abile a realizzarli in maniera sempre più efficiente.
  3. Costruisci una strategia di realizzazione. Comincia a valutare tutto ciò che hai a disposizione per realizzare quello che vuoi, in termini concreti di tempo, denaro, mezzi, energie e fatica. Valuta anche quanto sei disposto a impegnarti e a sacrificarti per la tua meta e pianifica una vera e prorpia strategia. Se per esempio l’obiettivo è cambiare casa, inizia dal momento specifico della giornata o della settimana che vuoi dedicare alla ricerca della casa. Pensa poi a prendere degli appuntamenti per delle visite e via dicendo. Se invece il cambiamento riguarda l’idea di cambiare partner o imparare a manifestare la collera in maniera costruttiva, il percorso sarà emotivamente più impegnativo, ma in sostanza è lo stesso. Di certo non potete affrontare cambiamenti simili senza l’ausilio di un percorso di terapia che prima vi faccia entrare profondamente in contatto con i vostri bisogni e poi vi aiuti a decidere cosa volete fare e come farlo.
  1. Trasforma il detto ‘vorrei ma non posso’ in ‘se vuoi puoi’, ovvero pensa nell’ottica che “se vuoi veramente cambiare qualcosa e sei determinato a farlo, puoi riuscirci”. Partendo da questo presupposto farai tutto ciò che è in tuo potere per cambiare e quando comincierai a vedere realizzato il primo obiettivo, sarai ancora più spronato a perseguire gli altri che ti sei posto. In questa fase bisogna sostenere il confronto con i risultati raggiunti, mantenendo la motivazione e continuando ad insistere dove ancora non si è riusciti.
  1. Basta crearsi alibi. Operare dei cambiamenti nella propria vita, anche se apparentemente di piccola portata, consente di innalzare la propria autostima. Dunque smetti di trovare giustificazioni a quello che “non puoi e non riesci a fare”, e ti sentirai più forte e sicuro delle tue azioni e delle scelte che fai. Finchè ti crei l’alibi per non cambiare, contribuisci ad abbassare la tua autostima. Anche in questo caso occorre definire un piano in termini di tempo e stabilire un programma con degli impegni da rispettare giornalmente. La soddisfazione che si prova nell’essere riusciti a portare a compimento quanto ci si è ripromesso, ripaga in termini di rinforzo, nel senso che diventa uno stimolo a fare la stessa cosa in futuro. In questo modo il nuovo modello diventerà una nuova abitudine e una volta sedimentata, non ci si accorgerà neanche più della fatica che era costata adottarla fino a quel momento. Naturalmente bisogna esser in grado anche di valutare gli impedimenti reali e saperli distinguere da quelli fittizi.
  2. Insisti sull’ottenimento dei risultati e non arrenderti al primo ostacolo. Bisogna sempre guardare avanti e mai indietro, tanto più se per caso “non sei riuscito a fare quello che ti eri proposto di fare”. Non importa, ribalta il pensiero in: “se non ci sono riuscito oggi, ci riuscirò domani”. Bisogna assumere un atteggiamento costruttivo e ottimistico in vista del fatto che seppure oggi non ho fatto abbastanza, domani potrò fare ancora meglio e di più. Per cambiare ci vuole autodisciplina.

Questo procedimento per piccoli passi è lo stesso che si impiega nella psicoterapia, che è anzitutto un percorso di cambiamento, realizzato per gradi con pazienza e forza di volontà. Infatti, il fine ultimo della psicoterapia è proprio quello di imparare a realizzare dei cambiamenti e ad adattarsi in maniera sana alle novità.

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