Un esempio di dialogo in una seduta di psicoterapia

 

Riporto qui l’esempio di una seduta nella quale il paziente traduce il dialogo tra le voci interiori in un confronto tra la parte impotente e la parte arrabbiata della sua personalità, che illustra come la psicoterapia ne permetta l’integrazione:

– Impotenza: “Io sono completamente impotente, sento di non poter operare nessun cambiamento reale nel mio modo di funzionare. Continuo a tenermi calma lasciando che siano gli altri a determinare le cose che mi accadono, tanto io non posso farci nulla!”.

– Rabbia: “Mi sto stancando delle tue lamentele! Sai solo lamentarti, non ti piace come vanno le cose nella tua vita ma non fai nulla per cambiarle.”

– Impotenza: “Il motivo per cui non cambio sei tu. Se ti lascio appena uscire fuori tu prendi il sopravvento, te la prendi con me e non mi sei di nessuna utilità. Poi finisce che mi fai piangere e non puoi fare più nulla di buono per me e neanche io posso fare più nulla, divento soltanto più debole. A che servi? Vattene via, mi fai solo male, mi impaurisci!”.

– Rabbia: “Se solo mi ascoltassi e avessi fiducia in ciò che ti dico potrei mostrarti che la rabbia può esserti utile, non solo distruttiva!”.

– Impotenza: “No!”.

– Rabbia: “Allora continua ad essere la debole che sei e a non fare nulla per cambiare le cose”.

– Impotenza: “Io non voglio sentirmi così ma è colpa tua, tu mi accusi e basta, se tu non ci fossi e non fossi sempre pronta a rimproverarmi invece di aggredirmi e rendermi inerme, io potrei fare delle cose, potrei reagire!”.

– Rabbia: “Hai ragione, il mio tono è sempre di rimprovero ed è vero, ce l’ho con te perché non fai nulla per modificare la tua situazione, ma io non conosco le tue difficoltà, cosa ti turba, che cosa ti impedisce di reagire!?”.

– Impotenza: “Ho paura! Paura di non farcela, paura di fallire, allora piuttosto resto ferma, così non può accadermi nulla di peggio! E ho paura anche che tu te la prenda con me e mi farai piangere ancora una volta e ancora di più”.

– Rabbia: “Io non sapevo che tu avessi paura, pensavo non agissi per farmi dispetto, ma ora so che ciò che ti rende debole è il timore di fallire e dev’essere dura avere questo timore, come posso aiutarti?”.

– Impotenza: “Beh, anzitutto quando sei arrabbiata potresti dirmi cosa ti fa arrabbiare invece di aggredirmi e basta e io ti potrei dire cosa mi fa paura …”.

Tratto da: ‘La terapia gestaltica parola per parola’. Fritz Perls

In questo dialogo emerge come a volte obbedite o vi ribellate arbitrariamente alla voce che vi rimprovera, invece di ascoltarla soltanto. Quando le obbedite vi comportate come un bambino spaventato e remissivo che si vergogna, si sente in colpa e si ritrae in un angolo col fare da vittima e cerca di placare il genitore dicendosi: “si, lo so che sono cattivo, merito la punizione, sgridatemi ancora!”, immaginando che riuscendo a farlo sentire triste per voi smetterà di punirvi. Questo procura solo un temporaneo sollievo, ma per risolvere il conflitto bisogna affrontare il genitore e parlare con lui, invece di dargli ragione purché smetta di biasimarvi.

Solo così la parte adulta si rafforza e potete sentrivi bene con voi stessi.

Spesso continuiamo ad obbedire al nostro genitore interiore proprio come alla nostra mamma o al nostro papà, non permettendo all’adulto di scegliere autonomamente per sé

Quando ignorate la parte adulta state accettando di essere puniti, il bambino soccombe al genitore e l’adulto si indebolisce ed è meno capace di proteggerlo giustificando la punizione. La battaglia così diventa più violenta e infuria finché non esplode improvvisamente in un periodo di angoscia, depressione e sensazioni di disistima.

Finché evitate di sperimentare le controparti in lotta, oscillate avanti e indietro tra il Dottor Jekill e il Signor Hyde, agendo prima l’uno e poi l’altro, ci sarà sempre uno che prenderà il sopravvento e saboterà gli sforzi dell’altro, obbedendo solo a una voce.

Obbedire al carnefice genera un comportamento autopunitivo

La coesitenza di aspetti come la tenerezza, la compulsione, la rabbia, l’audacia, la spietatezza o l’affabilità può risultare incompatibile, a meno che non ci si permetta di esprimerli in maniera adeguata e riconoscere così la pertinenza di ciascuno come risorsa.

La psicoterapia della Gestalt consente di mantenere l’armonia e il contatto tra parti antagoniste di sé, perché lo scontro tra polarità rompe lo status quo e crea un nuovo equilibrio più salutare, in funzione del fatto che ciascuna parte cambia per effetto dell’altra.

Ogni parte rappresenta il bisogno emergente in un dato momento, dunque non cede facilmente alla sua controparte per non rischiare cambiamenti, lasciando l’individuo nel conflitto che lo attanaglia e privandolo dell’opportunità di rinnovamento. Così una parte ha la meglio sull’altra, che viene negata a tal punto da non essere più disponibile e perdere la sua funzione (che è quella di segnalare il suo bisogno), creando un conflitto da cui nasce un disturbo. Ciò accade quando una parte è fortemente trincerata nella sua posizione per sopprimere l’altra, che invece comincia a guadagnare spazio per la sua espressione. Finché le parti non si accordano, è molto probabile che la persona adotti comportamenti estremisti (per esempio è sempre arrabbiato o è sempre accondiscendente), perché una forza tirerà più dell’altra lasciando inevitabilmente che una parte sopperisca e perda la propria vitalità.

Il nostro comportamento è strutturato in una scissione tra persecutore e vittima, i quali sono “due pagliacci che recitano il gioco dell’autotortura sul palcoscenico della nostra fantasia (Fritz Perls) in lotta perenne per prendere il controllo della situazione

Il persecutore (il Super-Io Freudiano) è di solito saccente e autoritario, è un prepotente che ci impone di continuo quello che dobbiamo e non dobbiamo fare, ci manipola con richieste seguite da minacce del tipo “se non lo fai allora non sarai amato”. Mentre la vittima si difende e si scusa adulando e lamentandosi, con espressioni del tipo: “io ci provo sul serio, ma non è colpa mia se non ci riesco!”. Entrambe lottano per avere la meglio proprio come fanno genitore e bambino.

Dialogo tra genitore, adulto e bambino

In Psicoterapia della Gestalt il Genitore è la parte di noi che funziona come una caricatura, un’esagerazione delle figure autorevoli dell’infanzia, che punisce, rimprovera e giudica. Il Bambino è la parte più nascosta che avverte emozioni proibite. L’Adulto è la risultante dell’accordo tra i due, che giunge all’autosostegno tramite la consapevolezza della situazione presente e si assume la responsabilità di scegliere e prendere decisioni.

Infatti il Topdog rappresenta i principi e i doveri appresi dai genitori, gli ordini e i comandi da loro impartiti, che da adulto l’individuo ha introiettato e fatto propri.

Mentre, l’Underdog rappresenta il bambino nell’intento di avere tutto ciò che vuole, con la pretesa che gli venga dato e che per ottenerlo può fare i capricci, o eseguire alla lettera i compiti che gli vengono assegnati per compiacere i genitori e non essere rimproverato.

La nostra parte adulta deve prendere per mano il proprio bambino interiore

Il Genitore spesso usa la forza bruta per domare lo spirito del Bambino. Pertanto sta a noi gestire questa relazione e farli comunicare nel modo più adeguato ai loro ruoli, per consentirci di affrontare la vita in maniera sana ed efficace.

Il nostro dialogo interiore è un conflitto che va risolto

Di solito diamo per scontato che il persecutore abbia ragione e in molti casi avanza richieste perfezionistiche impossibili, così che abbiamo sempre modo di rimproverarci e sentirci in colpa. Se cerchiamo di adempiere a questo ideale di perfezionismo entreremo in un circolo vizioso, che diventa un’autotortura che induce alla nevrosi.

Tuttavia, se si impara a rendere possibile una riconciliazione tra la parte della vittima e la parte del carnefice, allora possiamo maturare e vivere in armonia.

Se si riesce a diventare consapevoli del conflitto interiore e si riesce a dare pari dignità alle parti che di volta in volta emergono, questo si dissolverà ed eliminerà l’angoscia

Per fare questo bisogna ricordare che il persecutore è un giudice arrogante e presuntuoso a cui la vittima è dispostissima a credere, ma pur sempre tanto furba da tenerlo in pugno come in un braccio di ferro. Il controllo esercitato dal “tu dovresti” è un tranello molto invischiante e interferisce con il funzionamento sano dell’individuo, per cui molte persone si ritrovano a tentare di realizzare l’intera esistenza per come dovrebbe essere, invece di farsi guidare dai loro bisogni. Se conferite a voi stessi il potere di agire in base a quello che sentite, non consentirete a nessun genitore interno di dirvi quello che ‘dovete’ fare e sarete voi a decidere cosa ‘volete’ fare.

Se sperimentiamo la nostra lotta interiore, il Bambino non avrà più bisogno di sentirsi rimproverato e ribellarsi al Genitore per sostenere la propria autostima e potrà scegliere consapevolmente.

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