negazionismo e psicologia

Per capire cosa conduce una persona a negare l’evidenza di fatti realmente accaduti, come il verificarsi di una pandemia, bisogna considerare anzitutto cosa succede comunemente all’uomo quando vive un evento stressante. Gli eventi critici esterni, chiamati ‘stressors ambientali’, generano la necessità di adattarsi a qualcosa di nuovo che, il più delle volte, coglie impreparati, innesca la paura e turba l’equilibrio preesistente. Il modo in cui ciascuno è predisposto a reagire dipende dalla pregressa condizione di stabilità o instabilità, non solo psichica ed emotiva interiore, ma anche lavorativa/economica e sociale/relazionale.

Naturalmente, quanto più lo stato di equilibrio individuale è precario, tanto più la situazione si aggrava e rende l’individuo inerme.

Un evento stressante crea un senso di destabilizzazione, che lascia disorientati rispetto agli obiettivi presenti e ai progetti futuri e che incute paura, perché sconvolge l’esistenza abituale, non sapendo come risolvere il problema. Tuttavia, la capacità di ‘resilienza’ permette non solo di resistere e sopravvivere a una situazione di crisi, ma anche di adottare i comportamenti idonei a farvi fronte.

Chi invece ha una ridotta capacità di reagire agli stressors ambientali e non è in grado di sostenere la paura, per tollerare l’angoscia deve negare la realtà che l’ha generata e che altrimenti sarebbe insostenibile.
A tal proposito risulta interessante comprendere la differenza tra paura e angoscia, ben definita in questo video da Umberto Galimberti.

Nel termine negazionismo è insito uno dei concetti fondanti della psicoanalisi, quello di negazione, tanto caro a Freud, secondo il quale negare la realtà è uno dei più potenti meccanismi di difesa messi in atto per non sentire la paura.
L’essere umano infatti, per poter reagire di fronte a informazioni giudicate emotivamente intollerabili, ha bisogno di elaborarle in modo difensivo, rinnegando la realtà. Ciò è spiegato dal fatto che è più facile credere che qualcosa di spiacevole non esista, piuttosto che credere che qualcosa di ignoto e impercettibile, come un virus, esista. In caso contrario, bisogna fare i conti con la realtà e mettere in moto meccanismi complessi e impegnativi, che comportano, per esempio nel caso dell’attuale pandemia, la fatica di vivere in maniera limitata e di accettare di conformarsi alle regole.

Si fatica a credere a ciò che non piace.

Il negazionismo è anche una forma di ribellione grazie alla quale far sentire la propria voce e affermare la propria identità, che altrimenti sembrerebbe ‘negata’.
Le manifestazioni dei negazionisti servono a ‘manifestare’ la propria esistenza, assumendo una posizione senza la quale si sentirebbero invisibili. Il negazionista non può accettare la realtà, perché questo vorrebbe dire conformarsi agli altri. Il negazionista sente il bisogno di distinguersi dalla massa, perché in un momento storico in cui le relazioni sociali e l’espressione di sé sono ridotte al minimo, non saprebbe come far esistere altrimenti la propria libertà di pensiero, della quale si sente defraudato.

Negare non vuol dire solo ignorare il problema e far finta che non esista, ma significa anche dover ribaltare la situazione e trovare una causa che sia plausibile per la propria mente e possibilmente anche per quella altrui. Perciò i negazionisti intraprendono una lotta per sostenere ciò che negano e, per avvalorare il loro pensiero, sentono la necessità di diffondere le proprie credenze affinché tutti si convincano che sono vere. Quando la convinzione diventa così forte da oltrepassare i limiti del verosimile, contrastando l’evidenza scientifica, il pensiero può iniziare a manifestarsi come paranoia.

Infatti, la paura principale che si nasconde dietro il negazionismo è la perdita di controllo, per liberarsi dalla quale si sviluppa un pensiero ossessivo. Il passaggio dalla sospettosità esagerata alla paranoia può essere breve, dato che per mettere a tacere il dubbio e vincere la paura bisogna negare la realtà, impegnandosi ossessivamente nella ripetizione di una serie di azioni utili a confermare il proprio pensiero. Nei casi più gravi la paranoia potrebbe diventare un delirio, come accade per chi è affetto da un disturbo paranoide di personalità, che si adopera di continuo per contrastare ciò che sente come minaccioso.
Di qui deriva il bisogno dei negazionisti di imporre le proprie idee per eseguire una sorta di rito scaramantico attraverso il quale difendersi dalla minaccia incombente, che in questo caso è rappresentata dal virus, ma che potrebbe essere identificata anche con altri pericoli.
Se il virus non esiste non è temibile e, negandone l’esistenza, c’è l’illusione di annientare il pericolo del contagio e renderlo innocuo. I negazionisti ignorano la realtà per ignorare la paura, credendo di essere forti e invincibili e questo approccio permette loro di combattere il senso di impotenza che genera il nemico, tanto più se è invisibile come un virus.
Se si finge che l’oggetto temuto non esista, si ha l’impressione di essere immuni dalla paura e di non sentirla, oltre che di essere onnipotenti.

Negare consente di contenere l’angoscia che deriverebbe dall’ammissione della realtà.

Questo meccanismo in una certa misura è funzionale a sopportare il dolore ogni volta che quello che capita è troppo angosciante da poter credere che sia vero, come nell’elaborazione di un lutto. Tuttavia, dopo una prima fase chiamata, non a caso, ‘di negazione’, il paziente deve diventare consapevole di quello che inconsciamente sta negando e sviluppare le risorse utili ad accettare e affrontare la realtà.

Di solito ciò che è inconsueto e straordinario è reputato incomprensibile ed è temuto perché sconosciuto, ma se non possiamo capire ciò che accade secondo un processo razionale, per accettarlo siamo costretti a negarlo, a meno che non ci arrendiamo all’evidenza della realtà e ci adoperiamo per gestire la situazione, sopportando anche la paura che ne deriva. Perché “la paura guardata in faccia diventa coraggio” (Giorgio Nardone)

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